Fra Tennesse Williams e Alfred Hitchcock, Improvvisamente, l’estate scorsa del Teatro dell’Elfo rimane purtroppo ad uno stadio freudiano embrionale. Peccato…
Nella messinscena di Elio De Capitani la mente della giovane Catharine e la dimora di sua zia Violet Venable sono una giungla, un giardino ameno in mezzo ad una foresta, così placida e così terrificante, isolata dal mondo, immersa in una nebbia che la esilia dall’umanità. Una scenografia imponente per un manipolo di personaggi che si dimenano come mosche date in pasto ad un pianta carnivora, la quale ha per loro lo scomodo nome di Verità. Un esoscheletro che però da solo non basta a tenere alta la suspense, quella suspense tanto amata, e teorizzata, proprio da Hitchcock. In Improvvisamente, l’estate scorsa di De Capitani la tensione purtroppo si smorza, così come l’idea hitchcockiana di base, vera trovata solo accennata e non più sviluppata. Il dramma di Williams scema, e rallenta molto fino all’ipnotica e scioccante confessione di Catharine, per la quale non è sufficiente la bravura di Elena Russo Arman a farci da elettro-shock.
Tanti elementi, dunque, in questo Improvvisamente, l’estate scorsa del Teatro dell’Elfo, che però rimangono ad uno stadio freudiano embrionale, non riuscendo a transitare dall’inconscio alla coscienza.
Vota il post