di Claudia Boddi
Tutti noi quotidianamente improvvisiamo, anche se non ce ne rendiamo conto. Reazioni spontanee a situazioni inaspettate, per esempio, possono essere riprese dall’improvvisazione teatrale con l’obiettivo di farne spettacoli sempre nuovi e fedeli alla realtà. Applicata a varie aree del vivere comune - la psicoterapia, vari rami dell’istruzione pubblica, corsi di formazione per imprenditori-, questa tecnica oggi rivalutata, ha conosciuto periodi di splendore alternati a fitti momenti d’ombra. Nata con la musica jazz, come specifica modalità di creazione artistica, essa è presente seppure con minor clamore, anche in altre discipline: la pittura, la danza, la poesia, il teatro e altri generi musicali.
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Nel teatro, dopo aver conosciuto momenti di maggiore o minore fortuna e, dopo aver toccato il suo apice storico con la Commedia dell’Arte, è rimasta a lungo bagaglio solo di alcuni “mattatori” o cabarettisti che la usano generalmente per uscire dal loro monologo o per mantenere il filo diretto con il pubblico in sala. La società occidentale ha svolto progressivamente un’azione volta al sempre maggiore controllo sull’evento spettacolare, tendendo a farlo diventare sempre più previsto e programmato, codificandolo, e contemporaneamente negando all’attore la possibilità di esprimere spontaneamente la propria creatività. In sostanza, viene tolta all’artista la facoltà di creare quel rapporto diretto con il pubblico che dovrebbe essere la prerogativa degli spettacoli dal vivo rispetto a quelli riprodotti con l’ausilio di nuovi mezzi tecnici. Per paradosso, mentre l’improvvisazione teatrale usciva lentamente dalla scena, entrava in maniera sempre più decisa nelle principali metodologie di didattiche per gli attori, tant’è che molte delle più moderne scuole di formazione teatrale oggi lasciano largo spazio a questa pratica e valorizzando la sua grande utilità (Stanislavskij, Strasberg).
In epoca contemporanea, tuttavia, si è sentita la necessità di rivalutare questa tecnica, non solo come elemento di studio ma anche come strumento specifico di rappresentazione. Robert Gravel, Yvon Leduc e Keith Johnstone sono i creatori del “match di improvvisazione teatrale” e del “theatresports”: forme spettacolari dove niente è definito prima, nelle quali tutto viene creato e rappresentato sul momento e fluisce in modo immediato fra attori e pubblico. Attualmente, sono più di 80 i paesi nel mondo che praticano improvvisazione teatrale, in gruppi professionali o amatoriali, autonomi o collegati fra loro in compagnie. L’attività degli attori nelle varie nazioni non si è ovviamente fermata ai matches di improvvisazione o al theatresports, ma al contrario sta procedendo nella direzione di una vasta e approfondita ricerca sull’improvvisazione come forma di teatro. L’artista che improvvisa, infatti, si pone di fronte all’atto creativo con un atteggiamento particolare, sa che dovrà sviluppare un potenziale creativo che gli permetterà di essere, allo stesso tempo, regista, attore, autore, coreografo e scenografo di se stesso (e insieme degli altri con cui lavora).