di Matteo Boldrini
“IMU, IVA e demagogia”
Enrico Letta (da Wikipedia)
Negli ultimi giorni la discussione pubblica si è concentrata principalmente su un possibile aumento delle tasse, in particolare su un ulteriore aumento dell’IVA, l’imposta che viene pagata praticamente ogni volta che si acquista qualcosa. Al possibile aggravamento dell’IVA è stata collegata la proposta di una contestuale eliminazione dell’IMU introdotta da Monti e congelata, almeno sulla prima casa, dal Governo Letta immediatamente dopo l’insediamento, e che è la copia quasi precisa della vecchia ICI tolta da Berlusconi.
La pressione fiscale in Italia ha raggiunto livelli notevoli, e non si può certo dire che ad un livello di imposizione fiscale elevato corrisponda sempre un servizio pubblico all’altezza. Diventa quindi necessario fare un ragionamento su una sua riduzione o, quantomeno, razionalizzazione. Tuttavia ciò deve essere fatto un cercando di limitare gli interessi di parte, anche se risulta difficile astenersi dalla demagogia, quando si parla di tassazione. I due tipi di imposta sopra elencati presentano delle caratteristiche simili, ma possiedono anche delle differenze rilevanti, differenze che rendono preferibile l’una rispetto all’altra.
L’IMU è un’imposta che, per come è stata disegnata, viene pagata in due tranche e va a colpire coloro che possiedono numerose abitazioni, cosa che la rende particolarmente odiosa per un Paese come l’Italia, dove la maggioranza delle famiglie italiane ha la casa di proprietà. Inoltre, la modalità di pagamento la rendono ancora più detestabile in quanto essa, diversamente da altri tipi di imposte indirette, viene pagata dalle singole famiglie a scadenze ben precise.
L’IVA invece si costituisce in una serie di scaglioni in cui vengono inseriti tutti i beni e sui quali viene attribuita un’imposta (in percentuale) diversa a seconda della fascia in cui è inserito il prodotto. In Italia essa è divisa in 3 diverse fasce a seconda del tipo di prodotto, con una quota del 4% per i beni di prima necessità, 10% per i servizi e 21% per tutto il resto (ed è qui che andrebbe a incidere l’aumento). Mentre l’IMU colpirebbe solo i possessori di immobili, l’IVA si configura come un’imposta sul consumo, quindi viene pagata ogni volta che si acquista qualcosa, colpendo indiscriminatamente tutta la popolazione, indipendentemente dal reddito o dai beni posseduti.
Questo configura l’IVA come un’imposta poco perequativa, ma il difetto peggiore, che secondo me dovrebbe far propendere, se necessario, per un aumento dell’IMU piuttosto che di essa, è l’effetto che essa ha sulla società. Un’imposta come l’IVA ha l’effetto di deprimere i consumi, in quanto incide direttamente sul costo dei beni, mentre il nostro Paese ha un estremo bisogno di rilanciare la capacità di acquisto e, di conseguenza, la produzione. Purtroppo essa ha due caratteristiche che la rendono una scelta migliore per la classe politica.
La prima, di ordine tecnico, è che la riscossione dell’IVA è praticamente immediata, dal momento in cui si è deliberato il suo aumento. Essa consiste in un gettito lento ma immediato e continuo, poiché viene pagata ogni volta che si acquista qualcosa, mentre l’IMU e, più in genere, le imposte dirette vengono riscosse solamente durante la dichiarazione dei redditi, quindi, una volta deciso per il suo aumento, bisogna attendere l’anno successivo perché si cominci a vederne i frutti.
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