Magazine Racconti

In albis -11-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
IN ALBIS -11-Quando saltò fuori dall'abitacolo, sbalzato come l'estremità di un elastico rotto, dopo aver parcheggiato, stavolta diremmo ad orecchio, toccando qua e là – i paraurti devono pure averli montati sulle macchine per qualche motivo – volò verso il luogo dell'appuntamento, un carcere, sì, il luogo in cui doveva incontrare qualcuno era un carcere, attraversando a grandi falcate, e correndo, poi, la spianata di cemento che lo separava dalla meta, e sentì i palazzi tutt'intorno, di quell'ultima propagine di metropoli, degradati, sporchi, li sentì, dicevamo, piegarsi verso di lui, per contaminarlo, rallentarlo, lordarlo, li sentì incombenti, come il cielo, che s'abbassava terribile, sempre più, al contrario dell'aria che ascendendo gli sfuggiva, ora, gli mancava, trasudata oltre l'azzurro, l'ossigeno glielo rubavano gli uccelli, gli alberi, le nuvole sempre più nere, ecco il carcere, era in ritardo, sì, ma di poco, ma di poco è fin troppo, Tempo che mi faranno entrare, e Dai, riconoscimi, io ti conosco, riconoscimi, pensò, sfrecciando sotto alla guardiola, ma il Tizio là dentro non lo riconobbe, anzi, lo riconobbe, ma lo vide tremante e sudato e solo per essere più tranquillo decise di fermarlo, nell'incertezza e così il nostro si alterò e nervosamente: Sono io, sono l'avvocato di Amaagut e il vigilante l'interruppe: Mi faccia vedere i documenti, ed ecco i documenti, Non lo vedi, sono in ritardo, fammi entrare, presto, pensò, e sentì le forze venirgli meno, e quello non lo faceva passare, telefonò alla guardia della sala degli incontri, bofonchiò il suo nome, quello dell'avvocato, poi si sentirono solo dei sì, sì, d'accordo, capisco, glielo riferisco, ora, e finalmente ritornò con queste parole, per lui: Guardi, il suo assistito stamattina non voleva uscire dalla cella, poi l'hanno convinto che era indispensabile che s'incontrasse con lei e pur contro voglia s'è recato alla sala degli incontri, ma infine, purtroppo, dopo averla attesa qualche minuto, ha cambiato nuovamente idea e si è fatto nuovamente rinchiudere, dicendo che di aspettare, tanto, non ne valeva la pena. Quindi, signore, può pure tornare indietro.Lui non ebbe il coraggio di far nulla, pietrificato, per quanto sentisse l'istinto di prendere a calci tutto e tutti, per quanto volesse protestare, cercare di passare per tentare di convincere ancora Amaagut ad uscire, per quanto nella sua mente riecheggiasse forte la parola Abuso, da usare come un'arma, con soddisfazione, contro a questa guardia così attenta... non reagì. E reagire a cosa, poi? E poi, a che scopo? E contro chi prendersela, la colpa era sua, forse. Del fatto che era un uomo. Sposato. Con dei figli. E così decise di dare finalmente le spalle al guardiano, sordo al suo muto saluto s'incamminò quasi fin troppo lentamente, fin troppo quieto, verso alla propria auto, il mal di stomaco divenne una fitta, ora, una fitta d'inaudita intensità che lo piegò in due, ed allora, in mancanza di meglio da fare, si slacciò la cintura, che fosse quella la risposta giusta, a chissà quale domanda gli stesse ponendo il suo corpo, aprì la portiera, si sedette al volante, un movimento che lo riscosse in un nuovo insopportabile dolore: gli sfuggì un gemito, ma era un gemito muto, inudibile, che lo sorprese, lo sorprese perché non risuonò come si sarebbe aspettato, e che invece rispondeva silenzioso come tutto quel mondo là fuori, libero ed immeritatamente felice, che continuava ad ignorare il suo male, il suo dolore, che non ne voleva condividere evidentemente nulla, e in quel pensierò sentì forte il desiderio di essere altrove, fra quella gente là fuori, uno qualsiasi di loro, libero, ed ecco che finalmente, come non gli accadeva da anni, rumorosamente, a dirotto, pianse. Pianse, sì. Eccolo, piangente. Autocommiserarsi. Abbracciato al volante. Pianse a lungo. Singhiozzando. Tirò sul col naso. Come un bambino. Come un grande bambino che però ha grossi problemi, certo, chi dice di no... Poi, dopo non molto, all'improvviso, sentito che quel pianto aveva perso la sua spinta, in un dato momento, preciso, misurabile, si chetò. E non sentì più dolore, non sentì più nessun peso a schiacciarlo. Guardò il cielo e le nuvole bianche gli ridiedero serenità. C'era un uccello appollaiato sul cofano, gli sorrise. Non tutto era perduto. Il cliente l'avrebbe potuto rivedere all'indomani, o dopodomani addirittura. Non era certo troppo tardi. E così, riflettè, vediamo il lato positivo: almeno rimaneva il tempo per andare a cercare quel pelouche che la moglie aveva così avventurosamente promesso ai bambini. Sbagliatissimo. Gli si nasconde la morte ed al suo posto gli si dà un oggetto come premio. Ma la parola data è sacra.Tradirà davvero la natura, forse, ma.
la parola è parola.

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog