Quando i nostri rientrarono in casa, l'aiutante topolino ancora correva a perdifiato per concludere in tempo il proprio lavoro e, stremato, uditi gli abitanti di quella casa farne ritorno, tentava di dileguarsi in un bel buco dove trovare ristoro. Infine, constatata l'inospitalità di queste abitazioni moderne, infilò il solito taschino della camicia del nostro intruso che gli offriva come sempre il massimo dei comfort. I famigliari, compiuti i sacri rituali del rientro, ovvero infilarsi in un vestito comodo, diciamo un mezzo pigiama; le ciabatte; lavarsi con cautela, che, si sa, là fuori c'è tutto lo schifo del mondo; abbracciare il gatto morto di casa, si sedettero finalmente a tavola per la cena di buon appetito. Si sa, l'aria di campagna stuzzica la fame. Ma no, non per tutti, forse. Sembrava infatti che il figlio maggiore non se la sentisse di mangiare granché: assorto e silenzioso, stava tutto compreso nel lucente pensiero dell'angelo suo protettore. Malauguratamente, cedendo all'insistenza dei genitori che agiva come un grimaldello contro a quel suo tacere, raccontò. Questo: aveva sognato di correre per un prato, e di essersi fermato – proprio appena in tempo, all'ultimo momento – sul ciglio di un pozzo che improvviso gli aveva spalancato la bocca sotto ai piedi. Non riusciva a vederne l'acqua o il fondo, poteva solo udire delle indistinguibili voci, lontante, rintronare là sotto. Poi, sempre dal fondo di quel pozzo, improvvisa, gli giunse la voce della madre che gli diceva: torna, torna qui, come se gli fosse stata scoccata dal centro della terra e lui, spaventato, si voltava a cercare aiuto ma non poteva notare altro che un'alta torre. Stava per recarsi lì, a chiedere soccorso, quando la torre incominciò a piegarsi e rimpicciolirsi, fino a prendere il sembiante di un uomo nero e minaccioso. Sentiva che quello l'avrebbe certamente spinto giù nel pozzo e così corse via, scappò. E si svegliò da quel sogno. E per un momento, un istante, gli parve d'intravedere nella propria stanza un angelo. Un angelo, tutto vestito di bianco, ma senza ali, che gli sorrideva, che gli trasmetteva pace. Cosa che lo convinse che quello doveva senz'altro essere il suo angelo custode, nonché la sua più che sicura protezione contro a quell'orrendo uomo nero che tornava a minacciarlo in sogno. Ma, si chiese il bimbo, per punirmi di quale peccato? La madre a questo racconto inizialmente si mostrò turbata, perché le parve che contenesse troppi elementi in comune a quello stesso sogno che lei aveva fatto. La cosa le sembrò più che strana. Magica. Ragione di più per credere che il figlio avesse davvero visto un angelo, e concludere che quello avrebbe protetto tutti. E se ne rallegrò. Il marito invece ne era contrariato, disse che ci mancava solo che i figli adesso incominciassero pure ad adorare gli angeli, che quella casa sarebbe diventato l'antro della fattucchiera. Lei obiettò che se gli si faceva credere all'esistenza dell'uomo nero non gli si poteva negare, come luminoso contraltare, la speranza salvifica degli angeli. Ed infatti è una follia alimentare anche il pensiero della possibilità che esista una cosa che si chiama uomo nero, che abiterebbe gli armadi dei bambini. Allora, oscuramente, lei, sottolineò quanto al padre convenisse che il figlio continuasse a credere all'uomo nero. L'antro di una strega, davvero. E la bambina attaccò a piangere. La fantasia, bisogna che i bambini sognino. Ma questo ha gli incubi! Sarà anche un poco colpa tua. Ma cosa dici? No, mamma, papà, non è colpa di nessuno se ho Gli si devono inculcare queste favole, gli si permette di pensare che esistano cose che forse possono addirittura interagire con la Taci! Con la realtà Taci! E non gli si può raccontare Taci, che lo so dove vuoi Mamma E tu non piangere, piangi sempre! Taci! Papà! Gli si raccontano le favole e non gli si può dire che il gatto è Mamma!Mamma. Sì, mamma, col punto esclamativo, scappò fuori al bambino. Poco educato, ma efficace. Non si trattenne, nonostante avesse ben chiara la ferrea regola del non gridare, da che vide che la madre era saltata su e con tutta evidenza stava per colpire il padre – nonostante il non alzare le mani – oppure comunque sembrava avere tutta l'intenzione di zittirlo in qualche, malo, modo. A quel punto la bambina, ça va sans dire, in lacrime, balzò dal proprio posto e si frappose fra i due, non volendo essere da meno, il fratellino, al volo, si gettò nel mezzo della mischia. Spinse e levò tutti, e alla mamma, pietrificata, improvvisamente pentita, sfuggì un sorriso, e, osservato il figlio gli concesse un: Eccolo, questo sì che è un uomo vero. Così, disse. E il padre, anche lui sorridendo: Un uomo vero che ha paura dell'uomo nero. E la bambina rise, rise fortissimo. E così attaccò a ridere anche il fratello. E la madre. Ed il padre. E tutti e quattro, ridendo, s'abbracciarono, stretti stretti, pulsanti. E lacrime incominciarono a sgorgare, di gioia, di felicità, di pace. Quelle lacrime che sciolgono il groppo in gola, per capirci. Un'ilarità incontenibile, allora, li travolse, sembravano come impazziti ed il vecchio ad un certo punto si piegò e temendo di cadere si aggrappò istintivamente alla moglie, trascinandola a terra, e lì, rotolandosi, risero, risero, risero. Su di loro, gridando, si gettarono i figli e si poteva vedere quel mucchio sussultare e sobbalzare, qua e là rimbalzando e trascinandosi per la stanza. I loro visi diventarono paonazzi ed allora un poco si arrestarono, giusto per prendere fiato. L'uomo in bianco, l'intruso, li guardava appoggiato allo stipite della porta, accarezzando il taschino. Piangendo.