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In albis -8-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
IN ALBIS -8-E quando arriverà il pelouche, mamma? Chiedeva la bambina, appena infilatasi nel letto, alla madre che le rimboccava le coperte.Te l'ho detto, piccola mia: non so, non lo so... arriverà, presto, vedrai, Mukil l'ha promesso, ci vorrà un poco di tempo, ma come sai, questo era un gatto che le promesse le manteneva!Sì, mamma, presto, vogliamo il pelouche, presto!Prese a dire il maschietto, dall'altro lettino, non perché davvero gli interessasse troppo di quel pelouche, ma più che altro perché desiderava perorare il desiderio della sorella.Su, tesoro... arriverà... non bisogna avere troppa fretta! E' un regalo, bisogna desiderarlo un po', così, poi, quando arriverà lo troverete ancora più bello.No, no, lo vogliamo subito!Gridavano, quasi in coro, i bambini.Allora s'affacciò alla porta della cameretta il padre: Adesso basta! E' da quando vi siete seduti a cena che non fate altro che parlarne o chiedere quando arriverà! La mamma non lo sa, e neanch'io, e nemmeno Mukil, a quanto pare. Bisogna portar pazienza e lasciare in pace la mamma, che non è lei a decidere quando dovrà arrivare. Se fosse per lei, lo sapete bene, quel pelouche lo avreste già fra le bracciasìììììì!!!Urlarono i bambini.ma né io né la mamma, né menchemeno Mukil, possiamo decidere quale dovrà essere quel momento, e voi sapete bene che quando c'è di mezzo la magia, non si può star lì col cronometro... vero? L'importante è che quel momento arrivi!E nel frattempo era avanzato fino al centro della camera, e, concluso il discorso e notato che le faccine poco prima indemoniate ora sembravano più distese – o rassegnate – e comunque decisamente inclini al sonno, si mise a sfoderare grossi sorrisi ed espressioni buffe, che fecero ridere i piccoli.E adesso...E producendo un verso feroce ed insieme ridicolo eccolo balzare sopra di loro, e baciargli fronte e guance, e pizzicargli mani e piedi, coi bambini che si contorcevano e gridavano e poi ridevano e gridavano. E adesso... buonanotte!Detto questo, lasciò cadere una mano sulla spalla della moglie, l'accarezzò fugacemente, e dopo averla aiutata a sollevarsi:Andiamo a dormire anche noi, adesso, cara.E lei:Sì, buonanotte, a domani.E spenta la luce dei bambini si avviarono verso la loro camera da letto: finalmente la casa sprofondò quietamente nella notte.

Nel frattempo, in cucina, l'intruso, seduto a tavola, era intento a confezionare dei pacchettini. Il topolino vomitava sul tavolo quel liquido brunastro e lui ne ricavava delle dosi che avvolgeva poi nell'interno di uno strano materiale lucido, dotato di un piccolo foro. Dopo averne preparati un paio, accarezzato grato il dorso del topo ed esserselo rimesso nel taschino della camicia, si spostò davanti al rubinetto della cucina, ne svitò il diffusore e v'infilò uno di quei piccoli involti. Poi richiuse. Provò a far scorrere un po' d'acqua, vide che tutto funzionava a dovere e si avviò verso il bagno, dove avrebbe dovuto ripetere la stessa operazione con il lavandino di quella stanza. Ma non gli riusci di riavvitare il diffusore e rimase perplesso e preoccupato a rimirare il lavandino. Il topolino tirò fuori la testa dalla tasca, guardò con interesse professionale prima l'intruso e poi il lavandino, poi l'intruso e poi il lavandino. Ed ecco che, finalmente illuminato, squittì qualcosa che doveva essere particolarmente significativo, a quanto pare. Difatti l'uomo parve immediatamente capire qual era il problema, schiarito dal consiglio dell'amico, e con la punta d'un paio di forbicette per unghie, che trovò lì, grattò via il calcare che s'era sedimentato proprio sul filo dell'avvitatura. Fatto questo, riavvitò il pezzo dopo averci nascosto il solito involto senza problemi. L'acqua scorreva bene. Accarezzò il taschino e sparì anche lui, nella notte.Poi, di nuovo, certo non inattesa, l'alba, il nuovo giorno.Rientrò per prima, in bagno, come sempre. Si era risvegliata con una parola in testa: Mukil. Ed un senso di peso, grave, una stretta che la prendeva allo stomaco, una sensazione pari a quelle che si provano dopo aver preso un colpo, un pugno, quando sentiamo il nostro corpo dolente ritrarsi, stringersi davanti ad un pericolo che ci minaccia, ci sovrasta, potenzialmente letale, ingiusto. L'assenza del tappetino. Il bagno più pulito del solito. Un profumo di buono, di detersivi, di chimici campi fioriti. L'odore dell'inverno, del cielo bianco prima della neve. Morte. Tutto morte. Perfino il rubinetto, che, improvvisamente e chissà perché, funzionava, ora, funzionava a meraviglia, alla faccia sua che continuava ad insistere col marito affinché chiamasse un idraulico e lui che rispondeva imperterrito: Non serve/Non è nulla/Lo posso riparare io in due secondi. Ed i sei mesi in mezzo che nel frattempo erano passati. E quello s'era sistemato, così, da solo, nella notte, nella prima notte senza il gatto in casa. No, forse il marito l'aveva aggiustato davvero. Ma quando? No, ieri no, non è possibile, ieri mattina – pensava – ho spruzzato il gatto a causa del lavandino rotto, poi lui non ha mai avuto il tempo necessario. Anche se gli fossero bastati davvero solo due secondi, come asseriva. Sono più o meno di un attimo, più o meno di un istante, d'un lampo? C'è un momento, un momento preciso, in cui le cose si rompono, in cui si aggiustano? La malattia che ti porta alla morte, che ti trascini dietro per anni, è iniziata in un attimo, un attimo preciso. Se ci fosse la possibilità si potrebbe trascrivere la data e l'ora in cui una trave concepisce quell'orrido progetto che porterà infine tutta la casa a crollare. Due secondi. Quanto tempo è? Qual è l'attimo in cui ci siamo persi qualcosa? Qual è quell'attimo in cui ci siamo tutti distratti, e cosa è successo allora? Quanto tempo sono due secondi? Sono abbastanza, sono sufficienti, o non esisterebbero. Sono abbastanza per vivere, ammalarsi, guarire, morire. Moltissimo tempo.Da notte in bianco le si rivelò la faccia bluastra e deformata, che riflessa nell'impeccabile piastrella, l'osservava attonita e scandalizzata.



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