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In albis -9-

Da Nivangiosiovara @NivangioSiovara
IN ALBIS -9-Ehi, che brava! Buongiorno, cara, hai riparato il lavandino?Questo fu il suo esordio mattutino, sottolineato da espressione di stupita meraviglia, esibita appena oltre la soglia. Ma la sua voce le giunse come da lontano: la percepì, credette, grazie ad un remoto e misterioso ascoltatore, che insegnò ad un uccello ciò che aveva sentito, e quello, dopo aver trasvolato oceani e catene montuose, glielo riportava, in quel poco d'eterno che sono due secondi.No, l'ho trovato così, pensavo l'avessi riparato tu.No. No, e quando? No, non ne avrei avuto il tempo. Si sarà sistemato da sé. Te l'avevo detto che era una sciocchezza. Meglio così, no?Sì, certo.Cos'hai?No, niente... niente.Eppure mi sembri giù. Vieni qui, abbracciami.Ed ecco che si abbracciarono. Appena lui la vedeva triste, ecco, l'abbracciava, e lei, sempre, si sentiva meglio, almeno fino a quando non avvertì in tutto questo una sorta di demenziale e perverso automatismo, un modus operandi, l'idea che la sua tristezza fosse un brutto spettacolo che lui voleva nascondere fra le sue braccia, una cosa meccanica che rendeva l'abbraccio un atto superficiale, dovuto, misero, che non assolveva più al suo compito, a quello di consolarla, ma al quale non poteva sottrarsi, sentendosi lei parte imprescindibile di quel meccanismo, rotella che mancando avrebbe fermato l'orologio, e quello avrebbe fermato il tempo. E ce ne sarebbe voluto per farlo ripartire. Anche se, siamo onesti, tutto sommato abbiamo capito... due secondi... l'eternità... che differenza fanno?

Ora che m'abbraccia e non mi rende felice, mi sforzerò di sembrar sempre felice per non aver più abbracci, pensò.Le accarezzava la nuca, lui, e con la sua voce:Stai casa, stamattina, porto io i bambini a scuola.No, come fai con il lavoro?Ho un appuntamento alle 9. Ce la faccio.Sei sicuro?Certo. Lo sai, la puntualità è la mia unica, piccola ossessione. Se non fossi sicuro di farcela non mi sarei nemmeno proposto.No, li porto io. Non ci pensavo, ma devo anche assolutamente cercare quel pelouche, stamattina.Stamattina?Sì, certo, perché, perlomeno, se non lo troveremo come lo vogliamo, abbiamo il tempo per verificare che esista qualcosa almeno di simile, di farlo ordinare, nel caso...Lo sai, vero, che non lo troveremo mai uguale a Mukil? Quel gatto era strano, aveva addosso venti colori.Certo, per questo era così bello.Non dico che non fosse bello, sto solo dicendo che era piuttosto singolare. Unico, direi.A te le cose uniche fanno un po' paura, vero?Come? Cos'hai? Chiese lui, vedendola vacillare.Niente. Non so. Forse la pressione.Ma certo, ieri sei stata così male. Dai, vieni. Vieni, ti accompagno a letto... stai a letto, allora, stamattina. Siamo d'accordo?No... non posso...Sospirò di rassegnazione, lei, lasciandosi trascinare verso la camera.Non è questione di potere o non potere, è questione di dovere. Non puoi rischiare di star così male come ieri in giro per la città. No. Sì, forse hai ragione. Temo di non poter fare altrimenti. No. Come faccio col pelouche?Oh! Quel pelouche! Ti sei inventata un bel guaio, eh!Esclamò lui, alzando leggermente la voce che risuonò indispettita. E poi:Senti, basta, ci penso io a quel pupazzo. Lo cerco io, ok? Lo cerco durante la pausa pranzo.No, come fai... tu non le sai fare queste cose...Oh, forse allora è il caso che incominci ad imparare, non credi?E lei, infilandosi sotto alle coperte:Sì, forse sì. Anche perché, è vero, non ce la faccio, non riesco a stare in piedi. Sul serio, come farai?Mangerò un panino per strada, poi tanto lo sai che a mezzogiorno non ho mai fame...Sì.E gli occhi le si chiudevano. E lui:Ti devo chiamare il dottore? Sto tranquillo, lasciandoti sola? Ti lascio il telefono qui, va bene?Lei annuì per tutto il tempo. Poi:No. Il dottore, no. Aspetta, ti porto un bicchiere d'acqua.Il dottore, è stato qui l'altro giorno.Sì?Era vestito di bianco. Come mai?Perché i medici usano quel colore.Non andrà mica in giro col camice tutto il giorno, anche a casa.Ma lui di sopra ha anche un piccolo ambulatorio per ricevere dei pazienti, sarà sceso da te durante il lavoro.Tu cosa ne sai?C'è scritto sulla targhettina del citofono.La colazione per i bambini.Gliela darò io.No, non lo sai fare.Ancora! Imparerò... incompetenza cronica. E' questa l'accusa che mi si muove stamattina, signori della corte.Sì. Sì, dai, che stupido. Non ce la faccio. Mi dispiace.Non preoccuparti.Con un'espressione combinata occhi-bocca che voleva essere molto rassicurante, ma anche, in un certo qual modo, definitiva. E poi:

Ci metto due secondi.

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