Un po’ bioptic, un po’ romance, lievemente piccantino e un bel po’ drammatico, molto americano, mai scandaloso e sempre godibile, nonostante i rumors che l’hanno preceduto, questo film è attento in tutto dagli ambienti, alla fotografia e alla scelta della colonna sonora, è sobrio nel linguaggio ed è privo d’inquadrature volgari. Insomma, scabrosi sono solo gli eventi narrati, anche se il tempo è riuscito ad ammorbidire pure la loro percezione. Grazie ad un evidente sforzo di focalizzare tutto il tempo sul lato umano, si ride e si sospira (alla fine è la storia amara di pesanti violenze fisiche e psicologiche) per poi realizzare quanta strada abbiamo fatto e quanto gli anni ’70, nonostante non siano molto distanti da noi, appaiano davvero appartenenti a un’altra epoca (e per fortuna!).
© Dale Robinette
“Lovelace” è la storia di una splendida ragazza, Linda Boreman, che da giovanissima viene sedotta e abbandonata, quindi da giovane adulta viene corteggiata e questa volta portata all’altare, ma poi viene perseguitata prima di riuscire a cambiare per sempre la propria vita. Linda inaspettatamente, nonostante le violenze domestiche e il genere di pellicole di cui diviene un’icona, ottiene fama e successo in modo davvero anticonvenzionale, non cercato, non voluto e rifuggito sino alla fine. Il film ”Gola profonda” fu davvero un caso unico, sdoganò il porno e trascinò tutti al cinema. Dati questi presupposti, non è difficile intuire che buona parte della vita della protagonista, Linda in arte Lovelace, sia di dominio pubblico ed esuli dalla fruizione della cinematografia contraddistinta dalle famigerate tre xxx.
Nei panni della Lovelace c’è la candida Amanda Seyfried, secondo caso durante questo Festival (un suo collega di set è addirittura trino!) di attrice che sta vivendo un momento talmente propizio da poter promuovere contemporaneamente più pellicole. La Seyfried, al momento nei cinema con i panni di Cosette, figlia della sfortunata Fantine salvata da Jean Valjean, arriva a Belino a presentare la sua interpretazione di una figura femminile che ha vissuto un amore molto meno romantico di quello dell’eroina descritta da Victor Hugo, mentre la proiezione proprio di quei “Les Misérables” di cui è co-protagonista, è uno degli eventi speciali della 63ma Berlinale.
© Dale Robinette
Una scelta del cast che convince – oltre alla Seyfried ritroviamo una Sharon Stone irriconoscibile nel ruolo dell’ottusa madre di Linda e un Peter Sarsgaard talmente efficace da volerlo schiaffeggiare per lo meno in un paio di occasioni – per un film sobrio, che non vuole strafare, non bacchettone e che rifugge l’intento di impartire lezioni di morale. Prodotto d’intrattenimento che non fa leva sui sentimenti, non cerca il successo attraverso immagini dirompenti o gratuitamente volgari (tanto s’intuisce e nulla si vede J), talmente godibile da farci tirare un bel respiro di sollievo. Promosso e adatto a tutti, vedere per credere