CinemaMania
La Dolce Arte di Esistere
Titolo: La Dolce Arte di Esistere
Regia: Pietro Reggiani
Sceneggiatura: Pietro Reggiani
Genere: Commedia
Durata: 96 minuti.
Interpreti: Francesca Golia, Pierpaolo Spollon,
Rolando Ravello, Anita Kravos, Salvatore Esposito.
Anno: 2015
Uscita nelle sale: 9 aprile 2015
di Grove
Il termine psicosomatica sta ad indicare l’influenza dei fattori psicologici sui processi corporei. L’effetto placebo/nocebo, riconosciuto dalla scienza medico-psicologica, ne rappresenta l’esempio più eclatante. Pietro Reggiani, regista e sceneggiatore de “La Dolce arte di Esistere”, crea un mondo dove possa esistere l’“invisibilità psicosomatica”, e cioè una patologia secondo la quale vivere determinate condizioni emotive può portare all’invisibilità fisica.
Roberta (Francesca Golia) e Massimo (Pierpaolo Spollon) sono i due protagonisti di questo film, una che scompare se gli si presta poca attenzione e l’altro che lo f
a se ne percepisce troppa. Storie affettive differenti che portano ad uno stesso drammatico risultato: l’essersi sentiti e il continuare a sentirsi invisibili di fronte agli occhi altrui. Tematica molto attuale quella affrontata da Reggiani, in un mondo dove emerge più l’immagine della persona che la persona stessa, l’essenza di un individuo finisce con l’essere celata dietro alle mille maschere che siamo costretti ad indossare per piacere agli altri. Accompagnati dalla voce narrante del mitico Carlo Valli (fedelissimo doppiatore del fu Robin Williams) veniamo proiettati in una realtà tale e quale alla nostra, dove però l’invisibilità psicosomatica è considerata una nevrosi al pari di molte altre. Mano a mano scopriremo la storia dei due protagonisti, dalla loro nascita fino al loro primo incontro.Tutto nel film però appare troppo forzato e meccanico. I personaggi, principali e non, sembrano raffigurare tutti una categoria diagnostica. Prigionieri della propria bidimensionalità, gli attori, e in primis i protagonisti, alla lunga stancano. Spollon con il suo Massimo, ansioso e schivo, che inizialmente poteva anche divertire con tutte le sue fisime mentali diventa verso la fine del film seriamente fastidioso, incastrato sempre negli stessi loop di pensiero. Stessa cosa la Golia con la sua Roberta. Il percorso intimo attraversato da ognuno diviene un girarsi sul posto che non porta ad alcuna conclusione, una sorta di tornello mentale. L’incontro dei due che alla fine “cambia le cose” non è sostenuto da alcun processo interiore, ma anzi sembra assecondare in un certo qual modo la società stereotipata (e neanche troppo) descritta da Reggiani. Si resta in superficie perciò, in un film che voleva parlare di introspezione. Anche la voce narrante, che poteva funzionare se usata con parsimonia, finisce con l’estenuare lo spettatore che si sente spiegare anche l’ovvietà. I novantasei minuti di film risultano anche troppi, in u
n film che finisce con l’essere un collage di sketches da sitcom, sostenuti dalla novità di quest’invisibilità psicosomatica.Da un punto di vista tecnico il sonoro scompare e ricompare in maniera immotivata anche più di una volta durante la stessa scena. A peggiorare il realismo sono anche le luci, degne di una telenovela da prima visione della Rai, e gli effetti speciali dell’invisibilità, talvolta molto ridicoli. Il “basso” budget di (quasi) 300.000 euro poteva essere sufficiente per realizzare un film degno di nota, ma così non è stato.
L’idea originale del regista, che insieme alla lunga gestazione ha incontrato notevoli difficoltà nella sua realizzazione, sfortunatamente verrà oscurata dal film già uscito nelle sale de “Il ragazzo invisibile” di Gabriele Salvatores che tratta gli stessi argomenti, anche se in maniera diversa.
~ Grove.