30 AGOSTO – Uno dei comportamenti che più ha condizionato la vita economica delle famiglie italiane degli ultimi decenni è la crescente propensione all’acquisto della casa in cui vivere. La condizione abitativa del nostro Paese è infatti fortemente caratterizzata da un’elevata percentuale di famiglie che vivono in case di proprietà: un fenomeno che, a cominciare dal secondo dopoguerra, ha avuto un andamento crescente nel tempo. Secondo i dati censuari, già nel 1951 le famiglie che in Italia risultavano proprietarie di un’abitazione erano il 40%, nel 1961 il 45,8%, nel 1971 il 50,8%, nel 1981 il 58,9%, nel 1991 il 68% e nel 2001 il 71% (dati Istat, IX-XIV Censimento Generale della Popolazione e delle Abitazioni), arrivando nel 2009 al 79% (dati Agenzia del Territorio), con percentuali sensibilmente più elevate a Sud (85%) e inferiori al Centro (79%) e al Nord (75,6%).
Dunque sempre piu’ il risparmio degli italiano si è indirizzato verso questa forma di accantonamento ritenuta una tra le maggiormente affidabili nel tempo. Le banche hanno assecondato questa “voglia “ di casa, complice il livello di tassi di interesse ai minimi, con la prospettiva dell’entrata in scena dell’Euro. Ma gli spread bancari non si sono adeguati. Anzi. Ora che si sono capovolte le aspettative sul mercato immobiliare, complice anche l’introduzione della famigerata IMU da parte del governo Monti,. Ancora una volta siamo di fronte ad un caso di risparmio tradito.Si perché una casa di due stanze, piu’ bagno, cantina e garage d’oggi non è un’abitazione di lusso , paragonabile alla reggia di Venaria..
Con l’entrata nell’Euro il Governo Prodi ridusse la percentuale di detraibilità dal 22 al 19% degli interessi che gli italiano pagavano alle banche , complice, si diceva, la prospettiva inflativa generata da attesi di un costo del denaro ai minimi. Ci trovavamo ancora in uno scenario di economia in crescita con Pil attorno al 2% . Ed oggi? I tedeschi con forza chiedono la fine della politica di “easy rate” propugnata dalla Bce e dal suo Board, anche alla luce della necessità di remunerare maggiormente i potenti fondi pensione, vero motore del welfare teutonico, alla vigilia di una decisiva sessione elettorale. Dunque ancora una volta siamo vasi di coccio tra vasi di ferro. E le tensioni che animano la nostra politica sicuramente non aiutano di fronte a questa importante sfida che sta opponendo la Germania all’Europa. Ancora una volta riteniamo che sia necessario, anche per equità, aumentare la percentuale di detrazione dei tassi di interesse almeno di 50 punti base, per sterilizzare da un lato l’impatto negativo sui falcidiati conti delle famiglie, da un lato, e proporre una soluzione condivisibile alla Germania della Merkel.
Carlo Rossi
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