Luca, è tutto pronto. Stai per partire per la Stazione Spaziale Internazionale. Come ti sei preparato?
Ho il privilegio di essere il primo della nuova generazione degli astronauti dell’ESA a essere stato assegnato a una missione sulla ISS. Il mio volo avrà, tra gli altri, l’obiettivo di promuovere il futuro dell’esplorazione spaziale dell’Europa, il ruolo che l’Europa ha sulla Stazione (attraverso l’ESA) e sottolineare l’importante ruolo dell’Italia nel campo dell’astronautica. La mia missione sarà la prima di lunga durata per l’Agenzia Spaziale Italiana. L’addestramento per una spedizione (che corrisponde a una permanenza di 6 mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale) ha una durata di circa 2 anni e mezzo. Consiste inizialmente in una serie di lezioni teoriche che servono a preparare l’astronauta ai vari componenti della Stazione; poi prosegue con l’addestramento pratico nei simulatori. Le aree di lavoro sono molteplici: ci addestriamo a lavorare nei vari settori dell’ISS (Americano, Russo, Europeo e Giapponese), alla loro manutenzione; a lavorare ai vari esperimenti presenti durante la spedizione (a bordo dell’ISS sono presenti, in un dato momento, anche più di 100 esperimenti, molti dei quali dell’ESA e dell’ASI); a rispondere alle situazioni di emergenza, per mettere l’equipaggio e la Stazione in sicurezza; a effettuare Attività Extraveicolari (le cosiddette “passeggiate spaziali”) con lo scafandro; a operare attra- verso il braccio robotico Canadarm2; e, nel mio caso, mi addestro anche come copilota della navetta Soyuz, il che vuol dire che devo essere pronto a effettuare in maniera manuale tutte le fasi più importanti del volo. Come pilota dell’Aeronautica Militare (sono un Maggiore tutt’ora in servizio) questo è uno dei ruoli che rendono più interessante la missione!
Vorrei sottolineare come il “sistema Italia” mi abbia permesso di essere giunto fin qui: se da una parte la mia preparazione come pilota sperimentatore/collaudatore è stata fondamentale, sia durante la selezione che l’addestramento, è grazie agli accordi bilaterali ASI-NASA (dove l’ASI ha fornito i moduli MPLM-Multi Purpose Logistic Module e PMM-Permanent Multipurpose Module alla Stazione, ottenendo in cambio dei voli orbitali) che potrò volare sull’ISS.
Per via dello spazio limitato, le dotazioni delle navicelle devono essere sicuramente ottimizzate, riducendo al massimo le risorse da utilizzare. Com’è organizzata in questo senso la stazione spaziale?
Sebbene l’ISS sia l’astronave più grande mai costruita, il volume è effettivamente limitato. L’organizzazione della logistica di bordo è gestita grazie a un software, chiamato IMS (Inventory Management System), accessibile dagli astronauti e dal personale di terra, dove è catalogato ogni oggetto presente a bordo, e il luogo in cui si trova. Grazie a questo software si cerca di evitare la ridondanza, laddove non sia stretamente necessaria per motivi di sicurezza, e limitare le risorse. Per quanto possibile, cerchiamo di intervenire per riparare i guasti, piuttosto che cambiare una installazione con una nuova. Facciamo molta manutenzione preventiva, per evitare che si sviluppino problemi con la strumentazione. E infine, dove possibile, ricicliamo: non siamo ancora arrivati ad avere un ambiente completamente autosufficiente, e ne siamo anzi ben lontani, ma siamo sicuramente all’avanguardia in questo campo.
Durante le missioni nello spazio, quali sono secondo te gli sprechi? Cosa ritieni superfluo e cosa necessario durante un viaggio in orbita?
Uno dei problemi che ancora non siamo riusciti a risolvere in orbita è come riutilizzare il vestiario dopo che lo si è utilizzato. Non esiste ancora una soluzione pratica ed efficace per lavare in maniera soddisfacente gli abiti e la biancheria, per cui siamo costretti a buttare tutto dopo che è stato utilizzato (con tempi di utilizzo che variano in base al capo di vestiario). Si cerca di limitare gli sprechi (ad esempio, la biancheria contiene delle fibre particolari che bloccano o comunque limitano la proliferazione di batteri, il che consente di utilizzare alcuni capi molto più a lungo del normale), ma è comunque necessario per motivi di igiene e comfort. Restando nel campo del vestiario, ritengo del tutto superfluo il concetto di “moda” – e infatti il vestiario degli astronauti è molto semplice e pratico, normalmente degli shorts o dei pantaloni, una T- shirt o una polo – mentre ritengo assolutamente necessaria l’efficienza.
Durante le lunghe permanenze nello spazio si producono tanti rifiuti? Come vengono gestiti in orbita? Sulla ISS si fa la raccolta differenziata?
Non saprei quantificare la quantità di rifiuti prodotti durante una spedizione, ma posso garantire che è di molto inferiore a quella prodotta dallo stesso numero di individui, nello stesso periodo temporale, sulla Terra. Questo perché il vitto spaziale deve essere sottovuoto, disidratato e/o precotto: l’imballaggio è minimo, e di certo non è concepito per attirare il consumatore. Inoltre i volumi utilizzati sono ridotti al minimo indispensabile, per cui proporzionalmente i rifiuti occupano uno spazio molto più piccolo dell’equivalente terrestre. In compenso, siamo in grado di riciclare l’acqua, compresi i rifiuti organici liquidi. I rifiuti solidi, insieme a tutti i rifiuti non organici, vengono bruciati durante le fasi di rientro delle navette cargo ATV, Progress e HTV. Non facciamo raccolta differenziata perché, al momento, le navette che rientrano sulla Terra portano carichi ben precisi, normalmente di natura scientifico-tecno- logica, e non sarebbe economicamente giustificabile riportare a terra i pochi rifiuti riciclabili.
Qualche tempo fa, la PETA ha inviato un appello a Elon Musk, amministratore delegato di SpaceX, la prima società privata ad aver rifornito la ISS. L’organizzazione no-profit è convinta che nei futuri viaggi nello spazio, soprattutto nell’ottica di raggiungere Marte nei prossimi decenni, la dieta che i “marsonauti” dovranno seguire dovrà essere vegana. Cosa ne pensi? Cosa mangia un astronauta nello spazio?
Non ho seguito la proposta della PETA, e non essendo un dietologo non so quali possano essere i vantaggi o gli svantaggi di una dieta puramente vegana. Personalmente, per mia natura, ritengo che la maggior parte delle soluzioni si trovino nel compromesso e nell’equilibrio. La dieta di un astronauta è selezionata da personale specializzato, tra cui dietologi (ovviamente con la collaborazione degli astronauti stessi), che cercano di proporre una dieta bilanciata sia dal punto di vista nutrizionale che calorico. Di fatto, una volta preparato, il cibo spaziale non è così diverso da quello terrestre – le porzioni sono generalmente piccole, perché nulla può essere conservato e si cerca di consumare tutto per evitare rifiuti. Chiaramente i cibi freschi sono quasi, se non del tutto, assenti. La dieta è abbastanza varia e vi si può trovare di tutto: pasta, riso, pollo, manzo, maiale, tonno, minestre di vario tipo, vegetali. Alcuni astronauti posso- no scegliere di far preparare dei cibi speciali da condividere con l’equipaggio (nel mio caso, ad esempio, ho scelto alcuni famosi piatti tipicamente italiani e siciliani – opportunamente modificati – per condividere la nostra cultura culinaria).
Le energie rinnovabili stanno prendendo sempre più campo nella nostra realtà. Aumenta la consapevolezza della necessità di optare per una soluzione “alternativa” ai combustibili fossili. Cosa si sta facendo per portare le fonti rinnovabili anche nello spazio? L’energia solare che ruolo ha oggi in questo settore?
Lo spazio è da sempre la massima espressione della tecnologia di frontiera, per cui già da anni i satelliti e le sonde spaziali utilizzano combustibili non fossili che ali- mentano i motori e gli strumenti per moltissimi anni. Le tecnologie al momento esistenti non consentono tuttavia di costruire vettori spaziali (ovvero, i lanciatori) funzionanti con fonti di energia rinnovabili. Uno dei problemi è che le risorse destinate alla ricerca spaziale sono estremamente limitate, e chi gestisce i programmi spaziali si trova di fronte a un dilemma: come impiegare i fondi a disposizione cercando di crea- re nuove tecnologie (o migliorare quelle esistenti) senza intaccare i programmi in atto. Comunque la ricerca nel campo energetico continua: uno degli esperimenti che seguirò sulla Stazione (italiano, per altro – con la cooperazione dell’Agenzia Spaziale Italiana) si chiama Green Air e si prefigge di studiare il funzionamento di combustibili e comburenti per minimizzare le emissioni – in orbita come sulla Terra. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia solare, la risposta è molto più semplice: quasi il 100% dell’energia elettrica utilizzata dalle navette spaziali è prodotta attraverso pannelli solari e poi conservata in appositi accumulatori. Sulla Stazione Spaziale, il 100% dell’energia prodotta è solare. Inoltre il sistema di generazione di ossigeno utilizza un motore Sabatier che combina l’ossido di carbonio prodotto dalla respirazione (CO2) con idrogeno (H2) per generare metano (CH4) e ossigeno (O2). L’idrogeno proviene da un altro sistema, chiamato OGA, che utilizza acqua riciclata (H2O) per generare H2 e ossigeno. Ecco un esempio di tecnologia sostenibile, efficace e razionale.
I satelliti e gli altri dispositivi che operano nello spazio hanno prodotto nel tempo una grande quantità di rifiuti. Questi ultimi vagano attorno alla Terra, e qualche volta “decidono” di tornare da dove sono venuti. È accaduto al satellite Uars, e poco dopo anche al satellite Rosat. Come farà l’uomo ad eliminare i rifiuti vaganti? E quali potrebbero essere secondo te le strategie per far sì che ne vengano prodotti sempre meno per avere un cielo più pulito?
Rispondo prima alla seconda domanda. I cosiddetti rifiuti spaziali provengono in massima parte da mancati inserimenti in orbita da parte di vettori che hanno avuto un qualche malfunzionamento, oppure si tratta di vecchi satelliti che hanno esaurito la propria vita operativa. Si può quindi immaginare che vettori più moderni, con un rateo di successo maggiore, possano contribuire a eliminare il problema di futuri mancati inserimenti in orbita. Satelliti moderni, che utilizzano sistemi all’avanguardia, possono restare in orbita molto più a lungo, e alla fine della loro vita operativa possono essere guidati verso un rientro orbitale controllato che non lasci detriti.
Quindi la risposta è soprattutto tecnologica. Apparentemente anche la risposta alla prima domanda è legata alla tecnologia: costruire un sistema spaziale che possa “raccogliere” i detriti per poi portarli verso un rientro orbitale controllato è una soluzione sicuramente pensabile, e secondo me anche possibile. Ma in realtà credo che la vera risposta sia, purtroppo, ancora una volta legata all’economia: costruire un sistema come quello appena descritto comporterebbe risorse non attualmente a disposizione dei programmi spaziali, per cui, almeno nell’immediato futuro, continueremo a effettuare le cosiddette DAM (Debris Avoidance Maneuver – Manovra di Scampo contro Detriti) per evitare danni alle strutture della Stazione.
Le risorse naturali a disposizione sul pianeta Terra si stanno pian piano esaurendo. Da tempo si parla della possibilità di andare a cercarle altrove. Il progetto Planetary Resource a cui contribuiscono anche Eric Schmidt di Google e il regista James Cameron punta proprio a questo, alla ricerca di acqua, platino ma anche di metalli preziosi. Secondo te, questa nuova caccia extraterrestre potrebbe avere come conseguenza un nuovo degrado ecologico, questa volta al di fuori dei confini del nostro pianeta?
Credo che si tratti di un’idea molto interessante, ma di difficile realizzazione in un futuro prossimo. Spero che, quando avremo effettivamente la possibilità (e la volontà politica) di intraprendere una colonizzazione per l’utilizzazione di superfici planetarie extraterrestri, avremo anche raggiunto, come specie, la sensibilità e la maturità necessari per farlo con coscienza ecologica.
Qual è la prima cosa che farai quando tornerai sulla Terra? Cosa pensi ti mancherà di più quando sarai sulla ISS?
È difficile immaginare cosa farò al rientro, perché non ho ancora volato e passo molto più tempo a pensare a quello che farò durante i sei mesi di lavoro in orbita. Posso immaginare che, viste le condizioni di vita sull’ISS, avrò voglia di fare una lunga doccia. Sono invece sicuro che nulla potrà mancarmi più delle mie due figlie.