Che cosa ne sa di me questo luogo che neanch'io posso sapere di me stesso?
Forse è proprio questa domanda, tratta dalle pagine de Le antiche vie di Robert Macfarlane, quella che più delle altre dovrebbe girare per la testa quando si decide di varcare questo confine: un muretto di pietre come per delimitare un pascolo, ma che invece segna il passaggio tra sacro e profano. Di là l'Europa, i tempi moderni, la storia che è andata avanti con tutte le sue lacerazioni e le sue inquietudini. Di qua la Repubblica che nelle mappe del continente nemmeno si vede, il dito più orientale dela penisola Calcidica, una striscia di rocce dove la vita scorre più o meno come mille anni fa.
Benvenuti tra i monasteri ortodossi del monte Athos, questo mondo a parte governato dai monaci, dove pare che ancora Bisanzio non sia caduta e dove anche il tempo si misura diversamente che in Grecia, pochi chilometri più in là. Dove solo poche centinaia di pellegrini possono entrare ogni giorno e tra essi solo dieci che non siano ortodossi. Dove le donne non possono provare nemmeno ad avvicinarsi. Dove non ci sono alberghi e ristoranti, ma solo celle e refettori.
E' questo mondo a parte, di silenzio, preghiera, natura strepitosa, che Fabrizio Ardito ci racconta in Sul Monte Athos (Ediciclo), viaggio che ci porta lontano, più lontano che con un volo intercontinentale. Di monastero in monastero, in cammino fino alla cima di Aghion Oros, la Montagna sacra. Mulattiere a picco sul mare, monasteri dove niente è cambiato, liturgie incomprensibili e tramonti da togliere il fiato. Fino a quella vista, lassù, sopra quella piramide di pietra che sembra il tetto del mondo, la vetta che affonda nel blu dell'Egeo e che ci allarga lo sguardo fino all'Asia. All'Oriente e all'origine della nostra civiltà: ma forse ancora di più, forse fino a quel mistero per il quale non abbiamo risposta.