In cui gli adulti sono più schizzati degli adolescenti, Jack di A. M. Homes

Da Lepaginestrappate @paginestrappate

Da adolescente credo che mi sarebbe piaciuto molto.

Intendiamoci, non perché sia scritto in modo semplice, colloquiale, quasi, e sia una lettura godibile. Cioè, Jack di A. M. Homes è scritto in modo semplice, colloquiale, quasi, ed è una lettura godibile: ma non è per questo che lo trovo adatto per l’adolescenza. Non sono della scuola che vede in questi elementi buone caratteristiche per letture di gioventù (anzi), semplicemente penso che ci siano età in cui cerchi certe cose ed età in cui ne cerchi altre. Sono sicura che, tra una decina d’anni, o forse meno, magari domani, o di più o mai, il mio modo di leggere e il mio cercare tra le pagine avranno subito consistenti cambiamenti. Lo spero, in realtà.

Comunque, da adolescente mi sarebbe piaciuto molto. Oggi, meno adolescente, l’ho letto in una sera, tutto d’un fiato, ed è stata una bella serata. Niente di più.

Il protagonista è un ragazzino, Jack. Beh, in pratica Jack vede il proprio mondo messo sottosopra dalla separazione dei genitori, cui seguono una serie di reazioni folli (da ordini restrittivi a incursioni notturne per innaffiare i fiori dell’ex casa), finché, dopo un paio d’anni, suo padre non lo porta a fare un giro su una minibarchetta in mezzo a un lago e non gli dice che, in realtà, ha lasciato sua madre perché s’è innamorato di un uomo.

Che Bob, l’amico che vive insieme a lui, in realtà è il suo amante. (Gli dice qualcosa tipo “facciamo sesso” che, penso, è qualcosa che nessun figlio vorrebbe mai sapere sui propri genitori.)

“Hai presente Bob?”, ha chiesto.
Bob era il suo vecchio amico, un tizio con cui aveva affittato un appartamento.
“Bob, il tipo con cui abbiamo fatto quella gita, il tuo compagno di casa?”
Mi ha guardato strano, molto strano. Non aveva senso.
“Io e Bob andiamo a letto insieme”.
L’ho interrotto. “Che stai dicendo?”
“Siamo innamorati”. L’ha sputato fuori, come un petardo che esplode.
Ho guardato l’acqua del lago. Le libellule ronzavano sulla superficie. Avrei voluto alzarmi, correre via, ma grazie al mio geniale papà eravamo nel mezzo di uno stupido lago. Stavo per vomitare, lo sentivo. Avevo quel saporaccio in fondo alla gola.
“Mi viene da vomitare”, ho detto.

Jack non la prende affatto bene – per usare un eufemismo – all’inizio, e sclera abbastanza… in reazione sua madre sembra prenderla meglio di come abbia fatto fino a quel momento e insulta di meno il proprio ex-marito. Forse anche grazie all’influenza del suo nuovo compagno, Michael, il falegname zen.

Insomma, da qui parte un romanzo sull’adolescenza, la famiglia, le differenze e di come siamo alla fine tutti un po’ sbilenchi.

E’ molto americano, piuttosto acerbo (perdiana, A. M. Homes ha dichiarato di averlo scritto quando aveva diciannove anni!), e con qualche stereotipo di troppo, qualche situazione improbabile che traballa. Vuole ricordare un poco Il giovane Holden, ma senza la sua acida profondità (e tante altre cose) e un pizzico rimanda a Un giorno questo dolore ti sarà utile, ma senza il suo brio quasi surreale.

Ma insomma… Ci si fan due risate, ci si gode un po’ d’ironia (sana) e di adolescenti schizzati tra chi non vuole pensare a che roba fa papà con Bob e chi è soprannominato Il Rutto per le proprie delizie fonetiche, adulti più schizzati degli adolescenti, due lacrimine sparse e un po’ di cuoreamore famigliare.

E così eccomi lì – un gioiello di adattamento, quattordici anni e tre quarti, membro della squadra di basket e, finalmente, con le gambe più pelose di mia madre – seduto sul gradino davanti casa in attesa che papà mi venisse a prendere per la tradizionale avventura domenicale di padre e figlio divorziati, cosa che implicava comprimere una vita intera nell’arco di otto ore.

*

Jack, di A. M. Homes
minimum fax
tradotto da Adelaide Cioni
228 pagine; 13 euro

[edito anche Feltrinelli]



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