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In Germania canone tv per ogni casa e ufficio e niente spot dopo le 20 e durante film e sport (Italia Oggi)
Creato il 21 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaianoI bastian contrari, gli eremiti, si rassegnino. Seppure esistono, sono un'esigua minoranza di originali. Per la verità, molti hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale, non tanto i privati, quanto le aziende, costrette a versare 17,90 euro al mese per ogni filiale, anche se i dipendenti non sono autorizzati nemmeno a guardare il telegiornale.
Prima della riforma, le due tv pubbliche incassavano già 7 miliardi e mezzo dagli abbonamenti. Ora hanno ricevuto un miliardo e cento milioni supplementari, e si calcola che per il 2014 ricevano da 100 a 500 milioni extra. Non come da noi, ma quasi, le emittenti comunque piangono miseria: non hanno direttori messi in panchina per motivi politici con stipendi stratosferici, però spendono per i programmi. Hanno stanziato 500 milioni, ad esempio, per Tatort la serie di gialli che va in onda ogni domenica sera, prodotta dalle diverse emittenti regionali. In genere sono ottimi e vengono rivenduti all'estero. Comunque, perché non risparmiare?
La proposta è di abbassare il canone di un euro al mese. «Giusto, ma non basta», commenta il professore Paul Kirchhof, 70 anni, ex giudice costituzionale, e nel 2005 chiamato nel suo staff da Angela Merkel, durante la campagna elettorale che la vide battere Gerhard Schröder. Il professore propose una tax rate per le imposte uguale per tutti, e prudentemente venne spedito in panchina. Ora continua ad agitare le acque: «Uno sconto dimostrerebbe che lo stato non pensa sempre e solo ad aumentare tasse e contributi, però che cos'è un euro? Anche la nuova forma di riscossione degli abbonamenti potrebbe essere tollerata. Non si può far pagare ciascuno secondo l'uso che fa della tv. Io la guardo poco, ma pago l'abbonamento intero, ed è ragionevole. Piuttosto, perché non abolire la pubblicità?».
La tv pubblica, ritiene il professore, non dovrebbe essere in concorrenza con la tv commerciale. Il suo fine non dovrebbe essere di produrre programmi accattivanti che attirano gli spettatori, ma girare inchieste, reportages e far fronte al suo ruolo di informazione al di sopra della politica. I soldi che incassa sarebbero sufficienti se non si finanziassero dispendiosi spettacoli di varietà. Già adesso ci sono dei limiti agli spot per l'ARD e lo ZDF: non devono superare una certa percentuale rispetto agli orari di trasmissione, non possono andare in onda dopo le 20, e tantomeno interrompere film o incontri sportivi. E, nel complesso, la pubblicità sia sulle emittenti pubbliche che commerciali grosso modo dovrebbe essere pari al 50% del gettito complessivo per non danneggiare quotidiani e riviste.
Però la rinuncia alla pubblicità non dovrebbe andare a vantaggio delle rivali commerciali. La torta dovrebbe rimanere quella che è adesso, e la pubblicità a cui rinunciano ARD e ZDF andrebbero a vantaggio della stampa che al momento attraversa una crisi, sia pure non paragonabile a quanto avviene all'estero. «Questo potrebbe diventare un tema della prossima campagna elettorale, suggerisce il professore, e sono sicuro che gli elettori lo troverebbero interessante». E, soprattutto, più comprensibile della flat rate che sembrava premiare i ricchi contribuenti.
Roberto Giardinaper "Italia Oggi"
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