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In ginocchio (parte quinta): obiettivo tacchi alti

Creato il 04 maggio 2011 da Fredy73 @FedericaRossi5
Continua da:
In ginocchio (parte prima): La premessa
In ginocchio (parte seconda): Cosa si indossa per...
In ginocchio (parte terza): Panico in sala
In ginocchio (parte quarta): terapia d'urto
E' tutto pronto, o quasi, per la mia operazione al ginocchio.
La mia reazione, nei momenti di crisi, è tassativamente concentrarsi sulle cose governabili e controllabili. Fissare un obiettivo. Agire da soli. E mai e poi mai farsi prendere dal panico.
Così, dal momento in cui la caposala mi ha comunicato la data dell'intervento (con soli tre giorni di preavviso), mi sono trasformata nel generale Schwarzkopf in piena operazione Desert Storm.
Primo: occuparsi di tutte le incombenze burocratico-amministrative (impegnativa, comunicazioni in ufficio, modulistica varia ecc...).
Secondo: chiamare il parentado coinvolto a vario titolo nell'intervento.
Terzo: predisporre la convalescenza presso la casa dei genitori (comprensiva di parrucchiere pre-ricovero che i capelli, poi come cavolo me li lavo?).
Quarto: procurarsi il necessario per il ricovero e la convalescenza (camicia da notte ospedaliera, stampelle, biancheria, tuta informe per uscire dall'ospedale, libri di almeno 1600 pagine ecc...).
Quinto: avvisare le persone di cui mi importa.
Entrata completamente nel ruolo, mi sono trovata ad impartire ordini e disposizioni a chiunque si fosse incautamente offerto di darmi una mano.
Così, al mio amico B è toccato procurarmi le stampelle; ricevere le chiavi di casa per controllare la posta e verificare, ogni tanto, che fosse tutto a posto; custodire le chiavi della macchina per eventuali spostamenti di parcheggio in base ai giorni di pulizia delle strade nei pressi di casa mia.
Mia madre, un po' ansiosa, è andata a comprarmi una camicia da notte adatta per l'occasione. Quelle in mio possesso, infatti, non credo che si adattino alla bisogna, essendo tutte sul modello sottoveste in seta con mini spalline, scollatura profonda e lunghezza (o, meglio, cortezza) a metà coscia.
Chiaramente sono passata all'eccesso opposto, perché mia madre mi ha rifilato un modello che è a metà tra Maria Goretti e Rita Levi Montalcini. Con tanto di pizzi, merletti e bottoncini che si chiudono fino alla giugulare. Ma tant'è.
A mio padre spetterà il ruolo di chauffeur. Non tanto - e non solo - per gli spostamenti da e verso la clinica, ma anche per le successive tre settimane in cui non potrò guidare (quindi per andare al lavoro). A lui, inoltre, spetterà anche la trasmissione via fax di tutte le carte al mio ufficio, man mano che ce ne sarà bisogno (certificato di ricovero e dimissione, certificato medico ecc...). Ringrazio mentalmente la buona sorte che mi ha circondato di parenti e amici così pronti e generosi. Perché in questo paese, se uno è single e può contare solo su se stesso, deve pregare di non ammalarsi mai, nenache per un semplice raffreddore, se poi non può fisicamente dimostrare al proprio datore di lavoro che è una questione di salute (come dite? il certificato telematico? Qui siamo a Benevento e il nostro ufficio dell'INPS non è ancora pronto a tutto questo. Che domande!).
Intanto, mentre cercavo un ferro da stiro in un centro commerciale, il mio occhio si è posato su un paio di scarpe. Con vertiginoso tacco a spillo, punta aperta e plateau. Rosse e lucide che fa tanto prostituta. In bilico tra sexy e volgare.
Non è proprio il mio genere. Ma è da tanto, troppo tempo che non indosso i miei amati tacchi. E, di conseguenza, un abbigliamento consono al più femminile degli accessori.
Ho deciso: quello sarà il mio obiettivo.
Appena mi ristabilirò, dopo i due mesi di terapia, mi comprerò le scarpe da prostituta. E andrò in giro portandole con orgoglio. Con passo deciso e incedere altezzoso. Non come il gobbo di Notre Dame che ha infestato le strade di Benevento, in questi ultimi mesi... Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso dell’autrice.

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