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In ginocchio (parte prima): La premessa
In ginocchio (parte seconda): Cosa si indossa per...
C'è una cosa che caratterizza le persone che si ammalano. La reazione di parenti e amici. Io, in genere, preferisco affrontare esami, incontri con dottori e quanto altro da sola. E' carattere. Per me è più facile così che preoccuparmi anche per l'ansia dell'accompagnatore. In particolar modo se si tratta dei miei genitori. Forse perché qui al sud si vive un po' tutto in maniera teatralmente collettiva, ma la reazione di chi ti sta vicino, in genere, è quella del ciclo del panico. Si sostanzia, essenzialmente, in tre fasi ben distinte: "l'esperienziale", "l'interventista"e, infine, la "propositiva".
Quando un malato rivela il suo problema, non importa quanto la persona a cui lo dice sia intima, le domande a raffica saranno sempre le stesse e tutte senza attesa di risposta: "E che ti ha detto? (il medico, ndr)", "E quando vai a fare questo esame?", "E quanto tempo devi restare così? (in questa condizione, situazione ecc..., ndr)". Seguite da esclamazioni di dolore, compartecipazione e immedesimazione: "oddio!", "mannaggia", "ma quanto mi dispiace". E' proprio allora che si genera il caos. O, meglio, il panico. Perché tutti, parenti o amici, passeranno attraverso le tre fasi di cui sopra.
L'esperienziale. Non importa quanto rara sia la vostra malattia. Troverete sempre una persona a voi vicina che conosce il cognato dell'amico della sorella dello zio del cugino di terzo grado di quel tale che ha avuto esattamente la stessa cosa. L'esperienziale sa cosa fare e ci mette meno di due nanosecondi a diventare "interventista".
L'interventista. E' quello che reagisce con la pragmaticità. Ti dice cosa fare passo dopo passo. Conosce termini medici e, soprattutto, dottori, amici di dottori, fratelli di dottori, amanti di dottori ecc... E ti propone di chiamare questo o quell'altro medico. Ti dice di andare in questa città piuttosto che in quell'altra. Sa perfettamente che il dottore Tal dei Tali è uno bravo, mentre Pincopallino è un macellaio. E, ovviamente, non c'è nessuna possibilità che le versioni di ogni singolo interventista coincidano anche in piccolissima parte.
Così, durante la fase di panico, io mi sono trovata a fare virtualmente il giro d'Italia tra centri emiliani, molisani, pugliesi, lombardi... persino sardi (non per la Sardegna, ma per la "comodità" di arrivarci!). Con l'unico risultato assicurato di avere una grande confusione in testa e non fidarmi più di nessuno. Propio ieri, infatti, dopo una visita da un medico sportivo, ho visto confermata la diagnosi, ma non la cura. E sto ancora decidendo se vedere un altro ortopedico, prima di procedere (o di scegliere). Mentre, nel frattempo, si è manifestato un nuovo esame da fare che è di importanza lapalissiana per capire bene di cosa stiamo parlando... Ma questo è un altro discorso.
Tornando agli interventisti, c'è da dire che qui al sud lo sono davvero tutti. L'altro giorno, ad esempio, ho casualmente parlato con una persona con cui ho rapporti lavorativi e il discorso - vista la mia lunga latitanza - è scivolato sull'argomento ginocchio (del tipo "ma sei sparita!" "E' che ho avuto un problema al ginocchio"). Inutile dire che la persona in questione mi ha fornito nome, cognome e numero di cellulare di un bravissimo medico romano che ha guarito sua moglie, mentre quello "scarparo" di Benevento l'avrebbe solo rovinata. Questa situazione potrebbe sembrarvi poco sopportabile. Ma non lo è. Ognuno, di fronte a certe cose, reagisce cercando di fare qualcosa. O, forse, di sentirsi utile. Certo, il rovescio della medaglia è che ora sono davvero in confusione. Ma è un dazio che pago volentieri per quando arriva la terza fase.
Il propositivo. Sarà che noi gente del sud siamo davvero di cuore, ma questa è una fase che caratterizza davvero tutti e, in genere, termina il ciclo del panico. Il propositivo si mette completamente a tua disposizione. Ti propone, nell'ordine, di accompagnarti dai vari medici, di trascorrere la nottata in ospedale, di accudirti a casa, di comprarti l'acqua, di fare la spesa, cucinare e, perché no, magari pure una passata di aspirapolvere che non si sa mai. Insomma non ti fa sentire solo. Mai. Nemmeno quando ne avresti bisogno. Per capire cosa sia meglio fare.
Ma in fondo è meglio così. Con il panico in sala hai davvero poco tempo per preoccuparti dei tuoi guai.
Continua... (forse)Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city.
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