Avete presente quando alla notte degli Oscar premiano sempre il film più improbabile? O quello meno meritevole? O meno interessante?
Ecco, io, dopo aver consultato l'ennesimo ortopedico, ho deciso per la soluzione meno convincente: una breve fisioterapia e poi si vedrà.
Mi ha convinto la parola "breve", perché in realtà io ero già pronta sul lettino della sala operatoria col bisturi in una mano e la clamp vascolare nell'altra. Sono una persona poco paziente e due mesi di clausura (a parte il lavoro) sono davvero troppi.
Ma il dottore, mellifluamente, mi ha detto che anche per l'intervento è necessario fare la fisioterapia. Perchè la ripresa sarà difficile così come la convalescenza (almeno tre settimane senza nemmeno guidare... e io come ci vado al lavoro? Col teletrasporto?). Poi, la promessa che tutto si sarebbe concluso entro Pasqua mi ha portato a decidere per questa soluzione.
Così oggi sono andata al centro medico per la prima seduta.
Preventivamente avevo telefonato per chiedere tutte le informazioni possibili e immaginabili. Persino (ed è il mio pallino) come andare vestita. "Venga in tuta", mi ha detto la simpatica receptionist. Il che significa portarsi al lavoro un borsone con tutto il necessario. Ché chi si occupa di pubbliche relazioni mica si può presentare vestita come dopo una seduta di fitness.
Insomma, sono andata armata delle migliori intenzioni. E questo è quanto accaduto.
Sbrigate le lungaggini burocratiche e il pagamento, la segretaria mi dice di andare in reparto e poggiare la mia scheda su un comodino (sic!).
Entro in reparto alla ricerca del prezioso mobiletto e attraverso un corridoio con diverse stanze. Tutte rigorosamente con la porta aperta. Nella prima vedo "uomo giovane in mutande con laser puntato su gamba". Nella seconda "uomo di mezza età in mutande con elettrodo su gamba". E così via. E meno male che la receptionist mi aveva tranquillizzato sul rispetto della privacy!
Attendo in una sala e alla fine mi chiamano. Solo per far passare me e un'altra ragazza di nuovo davanti a "uomo giovane in mutande con laser su gamba" e "uomo di mezza età in mutande con elettrodo su gamba".
Ci fanno accomodare nella stessa stanza dove un lettino solitario sarà lasciato deserto. Al suo posto ci fanno sistemare su due sedie.
"Lei deve fare l'elettrostimolazione del quadricipite". Sì, mi sento risponderle perplessa. "Perfetto, allora si spogli e si accomodi sulla sedia". Cioè, scusa, mi fai vestire in tuta e poi mi devo comunque spogliare?
Pazienza! Peggio per la mia momentanea "coinquilina" che dopo aver visto "uomo giovane in mutande con laser su gamba" e "uomo di mezza età in mutande con elettrodo su gamba" starà pure in compagnia di "donna (matura) in mutande con elettrodo su coscia".
La terapista mi porge un grande foglio di carta assorbente usa e getta. Il mio snobismo mi spinge a poggiarlo sulla sedia, per evitare il contatto del vellutino logoro con le mie chiappe. Ma mi rendo conto in tempo che mi è stato offerto a mo di coperta per evitare alla coinquilina la visione di "donna (matura) in mutande con elettrodo su coscia".
Mi sistemo alla come capita e la terapista mi posiziona due spugnette bagnate sulla coscia. Le guardo. Sono proprio le spugnette che uso per pulire il cesso. Sì, sono loro. Lisce da una parte e con la trama a nido d'ape sull'altro lato. Spero, anzi prego, che siano pulite.
I miei pensieri sono interrotti da una violenta vibrazione che mi provoca una cosa a metà tra il solletico e il dolore. "Riesce a sopportarlo a questa intensità?", mi chiede la terapista gentile. "Mi sembra di SiiIiiI" dico con la voce che trema all'arrivo della nuova scossa. Mi fa poggiare il piede su uno sgabello in una posizione scomoda e dolorosa. Ma non c'è verso di tenere la gamba in altro modo. Per venti minuti sarò bloccata così.
Penso che sarebbe gentile, da parte mia, scambiare due parole con la coinquilina che intanto sottopone al laser i suoi polsi. Ma l'arrivo della nuova scossa mi fa desistere ("Mi chiamo FeeeEeEeeEderica"... no, meglio di no). Inforco, quindi l'i-pod e mi lascio cullare dalla muUuuUusica... o quasi. La coinquilina finisce priIiiIima di me e viene spostata nell'altra stanza. Io resto in silenzio immersa nei miei pEeeEensieri.
I 20 minuti fortunatamente passano, ma al beep finale nessuno viene a liberarmi dalle spugnette del cesso. "C'è nessuno?" inizio a chiedere timidamente, poi con voce sempre più alta. "No", mi risponde alla quarta richiesta d'aiuto l'ex coinquilina dalla stanza accanto. "Aiuto" mi verrebbe da dire, mentre uno strano panico si sta impossessando di me. Ma non faccio in tempo, perché la voce della terapista dal corridoio va chiedendo ad ogni stanza se il beep era il loro. "Da questa parte!" urlo come un naufrago al largo di Lampedusa. Finalmente mi libera dalle spugnette del cesso e mi dice che ora passiamo alla laser.
L'apparecchio per la laserterapia si accende a cazzotti e si regola a calci. O almeno è questo quello che ho visto fare alla terapista mentre cercava di inquadrare il ginocchio (sempre nella stessa dolorante posizione che il lettino sta lì per bellezza!) per poi "selezionare" l'andamento del fascio di luce. "Andiamo bene", penso, sperando che non ci siano altre sorprese.
Premo di nuovo start sul mio i-pod e la musica fa il suo dovere. Il tempo trascorre e un beep malefico mi trapana il cervello. Stavolta non si ferma. Continua imperterrito. Evidentemente l'apparecchio per la laserterapia che si accende a cazzotti e si regola a calci, si spegne solo a gomitate o a capate in bocca. Chi lo sa!
Sono pronta per la fase tre: gli ultrasuoni. La terapista mi cosparge il ginocchio di gel e mi porge una cosa che sembra proprio il telefono della doccia. "Ora posi tutto - si riferisce al mio i-pod - perché si deve massaggiare il ginocchio con questo apparecchio. Quando arriva a zero lo poggia qui, si pulisce e se ne va". Quindi 'sta terapia me la faccio da sola, penso.
Inizio il massaggio con movimenti circolari. Il tempo non passa mai. Me ne fotto e inforco di nuovo l'i-pod. Ci vuole una colonna sonora adatta. Seleziono "Sympathy for the devil" nella versione Guns 'N Roses e improvviso una coreografia sulla mia rotula.
Pleased to meet you (woo, who)/ Hope you guessed my name,(woo, who) oh yeah (woo, who) - primo giro - But what's puzzling you (woo, who)/ Is the nature of my game (woo, who)- secondo giro ecc... -.
L'ultimo beep, per fortuna, dura poco. Posso rivestirmi e andar via (woo, who). Che strano: il ginocchio che prima della terapia non mi faceva male ora è un po' dolorante (woo, who). Con passo claudicante, nella mia splendida tuta comprata per l'occasione, me ne torno a casa (woo, who). Una è andata. Me ne mancano altre nove (woo, who).
Oh yeah, get down, baby!Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city.
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