Oggi le fotografie di Flaviano Testa ci portano a Cercemaggiore, comunemente Cerce, e non ci parleranno solo di un paesino del Molise che sorge in provincia di Campobasso, ma racconteranno anche di un luogo che vive ancora dei prodotti della terra, avendo un elevato numero di contrade rurali dove si pratica l'agricoltura.
l nome del paese deriva proprio dal latino volgare cercea o quercia, con l'aggiunta dell'aggettivo maggiore per distinguerlo da Cercepiccola, altro centro che sorge poco lontano. L'abitato di Cerce si eleva a circa 950 metri di altitudine e la sua felice posizione gli ha meritato l'appellativo di "sentinella dei Sanniti", ampio è il panorama che si può godere: Cercemaggiore domina la vallata del Tammaro, volgendo lo sguardo si vedono tutte le alture del Molise fino alle montagne d'Abruzzo e nei giorni di sole, quando nelle pianure sottostanti non è presente foschia, si arriva a scorgere l'azzurro del mare Adriatico.
Un paesaggio tutto da godere e respirare perchè a Cerce si vive bene e a lungo. I dati Istat del censimento 2011 registrarono nel Molise la più elevata percentuale di ultra centenari. I rilievi del territorio comunale garantiscono la presenza di numerose falde acquifere che sgorgano in superficie in varie zone, consentendone un buon utilizzo ai fini agricoli, nelle colline che degradano fino ai 4-500 metri si possono ancora notare i frazionamenti effettuati durante il periodo fascista per l'intensificazione delle colture, allora si trattava maggiormente di grano, oggi si coltivano principalmente foraggi destinati al consumo regionale interno dei bovini allevati per la produzione di mozzarella.
Il Molise è terra antichissima e anche qui sul territorio sono venuti alla luce reperti archeologici che risalgono al Neolitico. Interessanti resti di fortificazioni sannitiche rimangono sul monte Saraceno dove, all'interno della suggestive Grotte delle Fate, sono stati rinvenuti materiali litici, punteruoli, frecce...
Nei dintorni di Cercemaggiore si ergono: la chiesa di S.Maria a Monte, di cui il primo impianto può essere datato tra l'XI e il XII secolo, mentre il bel portale è trecentesco e ancora il santuario di Santa Maria della Libera sorto, secondo la tradizione, sul luogo dove nel 1412 un contadino rinvenne un vaso di terracotta contenente una statua lignea della Madonna, notevolissima scultura del XV secolo. All'interno della chiesa e dell'attiguo convento sono conservate importanti opere di artisti locali, come un affresco e una tela di Nicola Fenico e una scultura di Paolo di Zinno, famoso per la costruzione dei "Misteri" di Campobasso.Giordano Pierro, frate domenicano priore del Convento nella prima metà del '900, ha pubblicato studi storici sul paese e sul santuario.
Ogni anno i paesani per la ricorrenza della festa, accorrono numerosissimi ad assistere e seguire la processione dei devoti che recano fiaccole con l'Effige della Madonna, portata a spalla dalle volontarie che indossano, per l'occasione, abiti tradizionali della cultura popolare. Al termine dei riti religiosi le persone si spostano in località Pianello, dove si trovano giostre, bancarelle, stands gastronomici e dove, per allietare la serata, vengono allestiti palchi per l'esibizione di complessi o cantanti in attesa del gran finale con un suggestivo spettacolo pirotecnico.
Tra sacro e profano le feste continuano a essere celebrate per conservare usi popolari e tenere unito il popolo nelle proprie radici, che vede, spesso, scomparire piano piano le antiche tradizioni in favore di ricorrenze dal sapore esotico che importiamo e che sempre più e tendono a soppiantare le nostre usanze.
Una tematica seguita ancora oggi e tornata alla ribalta in occasione dei festeggiamenti per il 150° dell'Unità d'Italia, è il Brigantaggio del Sud su cui vorrei aprire una piccola parentesi. Fu un fenomeno diffuso anche se in gran parte ignorato dalla storiografia ufficiale, perchè non sempre si trattò di delinquenza comune, anzi, nella maggior parte dei casi fu espressione di una sottaciuta rivolta popolare. La povera gente, dopo l'unificazione si trovò ad affrontare una realtà molto triste:le terre demaniali non erano state espropriate e divise fra i braccianti come nelle promesse della vigilia, ma vendute all'asta e i nuovi compratori scesi dal nord sfruttavano i contadini come e più di prima, erano state vietate le pratiche di uso civico, cioè poter raccogliere in modesta quantità prodotti dai fondi demaniali (legnatico, erbatico). Lo stato sabaudo, tra abbandono, incuria e corruzione morale crescenti, triplicava le tasse, imponeva la leva obbligatoria, togliendo alle famiglie anche il sostentamento delle giovani braccia dei figli che, per non adempiere al dovere militare, diventavano disertori e poi briganti.
La storia è lunga e meriterebbe un ampio capitolo, ma qui mi fermo per raccontare fatti che coinvolsero, nel bene e nel male, personaggi vissuti anche nel piccolo paese di Cerce. Nello specifico, mi riferisco a una donna rimasta quasi sconosciuta per oltre un secolo, Maria Luisa Ruscitti.
Nata a Cercemaggiore il 5 maggio del 1844, giovanetta, fu catturata, durante una delle sue incursioni in paese, da Michele Caruso, brigante. La ragazza era di povera famiglia, versava in umili condizioni, ma era dotata di fascino e bellezza; forse costretta, in un primo tempo a subire i capricci di Caruso, in seguito si donò anima e corpo alla sua causa e, in breve tempo, da lui addestrata all'uso delle armi, divenne un soldato della banda molto più in gamba di altri di sesso maschile. Aveva intuito che la violenta lotta condotta dal suo aguzzino, che forse era divenuto il suo uomo, agognava il riscatto dei contadini molisani dalla schiavitù, una vita civile e più umana per i poveri. Così Maria Luisa divenne una " capitana ", partecipava e guidava le azioni, durante uno scontro a fuoco uccise un ufficiale. Catturata nel 1863, fu condannata dalla Corte di Assise di Trani a 25 anni di reclusione. Uscì dal carcere nel 1888 e, tornata in paese, a Cerce, evitata da tutti, trovò lavoro come domestica soltanto presso la famiglia Salvatore. Condusse da allora vita ritirata e di moralità impeccabile, ma qui nasce la leggenda che la vuole ancora protagonista. Nei si dice delle comari si sussurrò che fu proprio la domestica a portare ricchezza nella famiglia che l'aveva accolta, svelando i nascondigli dei tesori dei briganti. In realtà il Salerno capostipite fu uomo laborioso e ingegnoso che aveva impiantato un negozio di generi vari in paese e serviva tutto il circondario, essendosi impegnato in un commercio di scambio con Napoli. Portava in città con fatica e sacrifici i prodotti della campagna e riportava in paese tessuti e manufatti da rivendere. Così si costituì per la famiglia, dopo quarant'anni di attività, il gruzzolo che consentì loro l'acquisto di parte di un vasto podere, Feudo della Rocca, "invidia" di molti, che alimentò chiacchiere e leggende.
(Alcune notizie inerenti questa storia sono state attinte dal sito di Stefano Vannozzi)