Giacinto Reale è un amico, un uomo colto e sensibile. La sua cultura si evince dai suoi articoli, la sua sensibilità la dimostra avendo raccolto il mio appello per parlare della sua città. Dalle sue parole traspare amore peri vicoli, per i muri, per le usanze, le tradizioni e la cucina di un luogo che ha lasciato oramai da tanti anni, ma che porta ancora nel cuore. Nel suo accompagnarci a spasso per Bari Vecchia, ha saputo cogliere odori e colori come solo il cuore “innamorato” di chi vi è nato e cresciuto avrebbe saputo fare. E’ un piacere avvicinarsi a luoghi sconosciuti quando tanta familiarità ci viene trasmessa dal nostro accompagnatore. Aspettiamo dunque il prossimo tour che l’amico Giacinto ci ha già promesso.(Franca Poli)
BARI VECCHIA
Fino a qualche (un bel po’, in verità) anno fa, avventurarsi per il dedalo di viuzze di “Bari vecchia” poteva essere un’avventura, per il rischio di perdersi tra stradine che giravano in tondo, e per la possibilità di essere oggetto delle attenzioni di qualche malandrino interessato alla borsa della vostra compagna o a un orologio da polso molto “appetitoso”. Ora la situazione è migliorata: sono bastati una bella imbiancatura generale alle mura, una discreta opera di dissuasione su qualche irriducibile malavitoso, un po’ di incentivi a bar, ristoranti, pub e locali che volessero lì iniziare l’attività. Il quartiere è così rinato a nuovo splendore (e i prezzi dei pochi appartamenti disponibili sono saliti di conseguenza) e “locali” e turisti si avventurano tra strade strette e tortuose per impedire al vento di mare di flagellare i passanti, case addossate le une alle altre per tenere al caldo la gente, archi che riparano dalle intemperie e ospitano edicole votive oggetto di culti secolari. Passeggiando, si è accompagnati dal chiacchierio delle donne che, davanti alla porta di casa, pelano patate, lavano pentole, preparano orecchiette che poi stenderanno al sole ad asciugare… Sedie e panchetti non mancano, e, se è estate e vi prende il coccolone, nessuno vi rifiuterà una sosta e un bicchiere d’acqua. Acqua che arriva fresca e buonissima dal “basso”, caratteristica casa a pianoterra, difesa da una porta che si sbarra solo a sera, quando “rientra” pure l’immaginetta di San Nicola (o anche il laicissimo ferro di cavallo) che vi è appesa e alla quale è affidata la protezione contro invidia e malocchio. A difendere l’intimità familiare, quando è necessario (nelle ore dedicate al riposino post prandium, per esempio) basta una porticina a vetri opachi o coperta da una tendina, sicuro riparo anche contro il maltempo, talora sovrastata da un balconcino con balaustre panciute, quasi barocche. Le inferriate di tali balconcini sono prudenzialmente spesso coperte da panni e da cartoni, che danno loro un’immagine vagamente spagnoleggiante, ma hanno lo scopo di impedire che qualche sguardo malizioso possa dalla strada indovinare le nascoste virtù delle bellezze meridionali che vi si affacciano. Dicevo delle immaginette “antimalocchio”… Ricordo di aver letto che, su una porta di via della Quercia, la stessa funzione è affidata ad una grezza testa di pietra coronata da un turbante che la fa sembrare, appunto, una ”cape du turchie” (“testa di turco”). L’immaginario popolare allude ad un turco malandrino che, chissà come e chissà perché, qui ebbe la testa mozzata dai fedeli cristiani, forse perché intenzionato a violare la sacra intimità domestica. Si è fatta quasi ora di pranzo, ed entro in uno di quei caratteristici locali di cui vi dicevo: orecchiette con le rape, braciola di cavallo e un buon vino locale mi accompagneranno ad un riposino indispensabile…prossimamente, però penso di tornarci, c’è ancora tanto da vedere e …da scrivere. (Giacinto Reale)