Che l’Italia sia un Paese profondamente corrotto è noto – scriveva testualmente ieri Giovanni Sartori nel “fondo” del Corriere della Sera - ma che la parte calcistica della corruzione italiana fosse manovrata e incentivata da Singapore non lo si immaginava. Ma accade che all’alba i poliziotti bussino alla porta di casa di Cristiano Doni e il giocatore, già provato dalla stessa inchiesta e dagli anni di allenamento, provi a fare uno scatto dei suoi, ma i poliziotti si mostrano più freschi e preparati e lo bloccano prima della fuga sulla fascia giù in garage. Un segno del tempo. Con il mediano dell’Atalanta e della Nazionale finiscono in carcere altri sedici giocatori – tra i quali Luigi Sartor, juventino, interista, romanista - che invece di rispondere agli schemi studiati durante la settimana e agli ordini del Mister sembra che ubbidissero ad “un’organizzazione planetaria” con base a Singapore, in Asia, e faccendieri e galoppini e scommettitori un po’ ovunque nel mondo. Giro d’affari: 90 miliardi di dollari solo in Asia. Roba che a metterci le mani sopra risolleviamo le sorti della crisi in Europa.
Forse, niente più del calcio è un fenomeno globale – e i Mondiali, ancor più delle Olimpiadi, hanno anticipato la globalizzazione economica e finanziaria - e se il pallone è un globo per forma e definizione allora a furia di rotolare e di essere palleggiato ha finito con il globalizzare anche il calcio-scommesse. Tuttavia, se a Singapore si scommetteva sul campionato italiano e non su quello svizzero ci dovrà pur essere un motivo, anche se va detto che nel campionato parallelo dei corrotti ci sono anche la Germania, la Croazia e la Grecia e qualche altro Paese. Ma è meglio che ognuno guardi in casa propria senza farsi scudo delle disgrazie e corruttele altrui. Dunque, l’Italia del pallone è marcia dentro e non sembra venirne fuori in alcun modo, nonostante gli scandali si susseguano, i processi su Calciopoli si celebrino e Lucianone Moggi non sia più né campo né negli spogliatoi dell’arbitro. Sarà – ripeto - come diceva proprio ieri Sartori: “Che l’Italia sia un Paese profondamente corrotto è noto”. Indro Montanelli era ancora più diretto: “Noi italiani la corruzione ce l’abbiano nel sangue”. E, aggiungiamo noi, la corruzione è proprio l’esatto contrario dello spirito sportivo e del gioco. Ma evidentemente quest’ultima è una favola in cui crediamo in pochi o, forse, in molti per continuare ad aver fiducia in quei 90 minuti di gioco che ci sono rimasti più o meno a settimana.
La trama criminale disegnata dalla procura di Cremona svela risvolti paradossali: dall’altro capo del mondo seguivano passo passo, anzi, passaggio dopo passaggio la vita sportiva e agonistica di squadre come Grosseto, Mantova e Brescia. Le combine riguardano i campionati 2009-2010 e 2010-2011 della serie B. Soprattutto in ballo ci sarebbero anche tre partite dello scorso campionato di seria A: Brescia-Bari, Brescia-Lecce, Napoli-Sampdoria. Ma non si escludono anche puntate e combinazioni sui campionati in corso. Sarebbe questo il motivo dell’arresto di Doni: la possibilità dell’inquinamento delle prove. Nella rete della scommesse è finita anche la neopromossa Gubbio. Quest’ultima, però, – sarà stato anche per il suo spirito francescano - è stata elogiata dagli inquirenti perché i suoi dirigenti non hanno esitato a denunciare i tentativi di combine. La cosa funzionava più o meno così: gli emissari dei capi di Singapore si insediavano negli hotel dove le squadre andavano in ritiro, avvicinavano i giocatori e a suon di migliaia di euro concordavano il risultato. Poi partivano le scommesse che, essendo basate su una piazza asiatica off shore, sfuggivano a tutti i controlli finanziari. Il meccanismo è stato svelato da un membro della banda (anch’egli cittadino di Singapore) attualmente detenuto a Helsinki, che sta collaborando con la giustizia di più Paesi, tra cui anche quella italiana.
La vita da mediano di Cristiano Doni colpisce non poco. Lo scorso giugno, quando il suo nome venne fuori nel primo filone di questa stessa inchiesta, a Bergamo ci fu una sollevazione di popolo nerazzurro. Nessuno voleva credere alle proprio orecchie e ai propri occhi per quanto sentivano e leggevano. Il giocatore, però, sta già ora scontando una prima pena e vederlo adesso non in campo ma agli arresti fa veramente una certa pena. La sofferenza è inflitta un po’ a tutto il calcio italiano che non sembra guarire dai suoi errori. L’ex capitano dell’Atalanta è finito in carcere per un tentativo di inquinamento delle prove definito dagli inquirenti “molto grave”: avrebbe pagato parte della parcella dell’avvocato di un altro indagato, Nicola Santoni, per il timore che il legale parlasse agli inquirenti e dunque per corromperlo. Dalle indagini è emerso inoltre che Doni avrebbe ipotizzato di alterare i dati dell’Iphone di Santoni, sequestrato nell’estate scorsa nell’ambito dell’inchiesta, cambiando la password con un computer. Non vengono comunque contestati al giocatore fatti nuovi rispetto a quelli emersi nel giugno scorso.
“Speriamo di arginare ulteriormente il fenomeno” ha detto il procuratore Roberto Di Martino. Speriamo? Speriamo. Certo, però, che è dura. E’ da quando eravamo ragazzini e giocavamo a pallone sotto casa o all’oratorio sognando una carriera da vero giocatore che lo scandalo della corruzione nel calcio ci insegue proprio come il pallone. C’è anche un canzoncina di Celentano – Mondo in mi settima - che dice più o meno così: “C’è persino corruzione dove c’è lo sport”. Nel 1982 il capocannoniere dei Mondiali in Spagna, vinti proprio dell’Italia, fu Paolo Rossi che era reduce proprio dallo scandalo del calcio scommesse. Sotto il sole non c’è proprio nulla di nuovo, né fuori né in campo. A te Ameri.
tratto da Liberal del 20 dicembre 2011