Ho appena finito di leggere un libro molto bello: “La gabbia d’oro”, di Shirin Ebadi, attivista iraniana per i diritti umani e Premio Nobel per la Pace nel 2003. Nel libro racconta la storia molto triste e commovente di una famiglia iraniana, strettamente legata alla storia dell’Iran dagli anni ’50 a oggi.
Shirin Ebadi, oltre ad essere un’avvocato estremamente in gamba, è anche una narratrice speciale, che riesce a dipingere situazioni e trasmettere emozioni che fanno sentire vicino e familiare un mondo lontano e sconosciuto come quello persiano. Anche nel suo primo libro, “Il mio Iran”, in cui raccontava la sua vita, era riuscita a descrivere con semplicità e accuratezza la situazione disperata del popolo iraniano, da anni stretto in una morsa di repressione e violazione di tutte le libertà fondamentali.
Nel settembre 2007 ho avuto la fortuna di ascoltare un suo intervento durante il Festival della Spiritualità di Torino. Mi ero appena trasferita nella città sabauda, e non potevo credere che avrei potuto vederla e ascoltarla di persona, dopo che per la mia tesi di laurea avevo letto i suoi articoli e studiato della sua attività a difesa dei diritti umani delle donne e dei bambini iraniani. Alla fine del suo lungo intervento ho fatto la fila, come tante altre persone, per stringerle la mano e ringraziarla per la lotta che porta avanti.
Rileggere le sue parole mi ha fatto tornare il grande desiderio di un viaggio in Iran, desiderio che ho da molti anni, alimentato dai libri che ho letto e che mi hanno fatto scoprire un paese dalla storia antichissima e dalle affascinanti tradizioni. Il primo della lista è stato “Salam Maman”, di Hamid Ziarati, il quale racconta la storia della sua famiglia prima e dopo la rivoluzione vista attraverso gli occhi di Alì, il più piccolo componente della famiglia. In quel libro avevo letto per la prima volta dei festeggiamenti del Nowruz, il capodanno iraniano, che risale alla religione zoroastriana e si celebra in corrispondenza dell’equinozio di primavera. La tradizione prevede che la famiglia si riunisca attorno ad un tavolo ornato di candele (una per ogni componente), sul quale si devono mettere 7 oggetti che iniziano con la lettera S, per rispettare la regola dello “Haft Sin” (che in farsi vuol dire proprio “sette S”).
A quel libro ne era seguito un altro, “Alla ricerca di Hassan” di Terence Ward, la storia di una famiglia americana costretta dalla rivoluzione a lasciare l’Iran, e a separarsi da Hassan, cuoco e amico fidato. Sarà proprio il ricordo di Hassan e di quel magico paese che li aveva accolti, a riportarli tutti in Iran, in un viaggio che tocca tutte le città e le mete più importanti del paese, per rivivere passate emozioni e tentare di ritrovare il caro amico. Quel libro, oltre a descrivere le bellissime città di Shiraz, Isfahan, Mashad, si soffermava sulle prelibatezze della cucina persiana e sui piatti tipici, che l’autore evoca con nostalgia, come il riso con pollo allo zafferano, dalla deliziosa crosticina croccante.
Azar Nafisi, nel suo “Leggere Lolita a Teheran”, racconta la storia autobiografica di una professoressa di letteratura inglese all’Università di Teheran, costretta dal regime islamico a sospendere le lezioni, che però continuerà a tenere segretamente per una cerchia ristretta di sue studentesse sottoforma di seminari. Durante gli incontri vengono letti classici della letteratura come Lolita, Cime tempestose, Washington Square, e nel frattempo le studentesse iniziano a fraternizzare, raccontando ognuna le proprie difficoltà e sfide quotidiane. Ero rimasta colpita da quella narrazione che è allo stesso tempo un atto d’amore per la letteratura e una beffa per chiunque tenti di proibirla.
Quasi per caso mi sono imbattuta, qualche anno dopo, in “Lipstick Jihad”, di Azadeh Moaveni. Avevo trovato il libro nella piccola biblioteca dell’Ambasciata di Kabul, e quello era uno dei pochi libri che mi erano sembrati interessanti. Così avevo letto della protagonista, una giornalista irano-americana che nel 2000 si trasferisce a Teheran come inviata di un quotidiano di Los Angeles. Decisa a ritrovare le sue radici e a scoprire l’autentica identità del paese, scopre e descrive con sguardo ironico e provocatorio la generazione dei giovani, tra trasgressioni, droga, musica e mode occidentali.
Ultimo, importante, pezzo del puzzle: “Persepolis”, di Marjane Satrapi, un fumetto autobiografico in cui l’autrice racconta la sua vita e la storia dell’Iran, riuscendo a trattare , grazie anche alle divertenti illustrazioni, argomenti scottanti quali la politica e la rivoluzione con disarmante leggerezza e sincerità.
A tutti coloro che sognano un viaggio in Iran consiglio di leggere questi libri e di iniziare a viaggiare, almeno con l’immaginazione… nell’attesa di prendere, un giorno, un aereo per Teheran…
*chiara-jan