Siamo all’ottavo capitolo della nostra breve storia della politica repubblicana. Il consiglio per chi non ne abbia ancora avuta occasione è quello di trombare il più possibile, il prima possibile. Chi arrivasse qui dopo aver letto il testo fin dal primo capitolo ha tutta la mia comprensione ma farebbe bene a prendere esempio da chi non ha perso tempo ed in questo momento è già in tangenziale.
Prima di vedere cosa decisero di fare i proprietari, ricapitoliamo brevemente la situazione.
Oltre le apparenze, i cambiamenti più significativi non stavano avvenendo nelle aule di tribunale e nemmeno a Roma, ma su una barca. Una grossa tinozza di lusso, il panfilo Britannia. Tra uno scotch ed una tartina di caviale, i nuovi (e vecchi) padroni si spartirono il bottino mentre oscuri analisti ridisegnavano il gioco della destra e della sinistra per aquetare gli operai affinché continuassero a votare, lavorare e spendere quanto e più di prima.
Cos’era successo? Era successo che tutti e tre i soci della Trimurti avevano, anno dopo anno, ceduto parte delle loro quote ad un quarto socio. Uno che, a dire il vero, c’era sempre stato ma fino a quel momento aveva preferito restare nell’ombra accontentandosi di accumulare i dividendi. Uno che aveva quote in talmente tante attività pubbliche e private da non potersi presentare ad ogni riunione. Uno che fino ad allora non aveva imposto la sua linea ma aveva modellato quella degli altri tre. Questo quarto socio era sempre stato ben accetto perché assomigliava un pò a tutti gli altri. Era cinico come gli Stati Uniti, spietato come le mafie e avido come il Vaticano. Questo quarto socio era il cartello di banche che controllavano buona parte del sistema monetario mondiale. I cosiddetti Banksters. La Trimurti ci aveva sempre convissuto e ne aveva sottovalutato il lento rosicchiare.
Con Mani Pulite, i Banksters fecero spazio alla loro poltrona in consiglio d’amministrazione.
Degli altri, il Vaticano era quello che su suolo italico si era indebolito più degli altri, il suo carisma persuasivo allo scadere del millennio non era quello del dopoguerra. Al sud aveva raggiunto un’eccellente integrazione con le mafie ma, anno dopo anno, gli analisti papali erano costretti ad ammettere tra le lacrime che il declino della fede era un dato di fatto. I boss con la rivoltella in mano, i padrini italo-americani, gli attori del piccolo e grande schermo esercitavano sulle nuove generazioni molto più fascino dei parroci di provincia. La cinematografia holliwoodiana, a tal proposito, contribuì con pervicacia a questo scopo. Nonostante ciò, il Vaticano aveva ancora numerose frecce al suo arco: immense ricchezze accumulate nei secoli, un copioso flusso di cassa derivante dalla gestione del controllo sociale in molti Paesi del terzo mondo fornitori di materie prime e mano d’opera a buon mercato e i migliori strumenti finanziari per le operazioni off-shore. Senza scordarsi di dio, che nei momenti critici è l’ultima speranza per tutti.
Sta di fatto che i rapporti di forza erano sensibilmente cambiati.
Chiarite le dinamiche padronali, possiamo tornare all’elettorato italico utilizzando il piano cartesiano che abbiamo introdotto nel settimo capitolo.
La grossa T azzurra rappresenta la massa di elettori che aveva da sempre votato il pentapartito. Questa massa di moderati, incerti e delusi aveva visto i suoi “presunti” rappresentanti trasferirsi uno dopo l’altro dalle rosse poltrone (non solo romane) alle panche ruvide delle prigioni (non solo milanesi). Le principali forze sopravvissute sul campo erano i comunisti (oramai scissi in due correnti), i leghisti ed i missini. In nome dell’economicità espositiva, ignoreremo le altre minuscole entità presenti ma prive all’epoca della minima significanza effettuale (ambientalisti, tirolesi e via discorrendo).
I catto-comunisti figli del ‘68 erano pienamente predisposti alla collaborazione, non vedevano l’ora. Idem dicasi per i missini che per un pò di potere erano pronti a tendere il braccio in qualsiasi direzione. L’unica formazione politica parzialmente sbrigliata dai tentacoli massonici era la Lega Nord, un pò perché la base era di recente formazione, un pò perché il movimento era populista e rivolto a classi sociali non avvezze a compassi e grembiulini.
Se da una parte il padronato sapeva di poter controllare le alte dirigenze di tutti i partiti sopravvissuti a Mani Pulite (nessuno già allora aveva l’armadio vuoto), dall’altra era necessario evitare che questi acquisissero consensi imprevisti, specie la Lega. La contingenza era davvero favorevole, l’elettorato orfano di rappresentanza era numeroso. I padroni agirono – ovviamente – prima e meglio di chiunque altro, applicarono una cura utile ad evitare che gli orfanelli finissero per riempire il parlamento di cani sciolti. Il suppostone era un vecchio cialtrone già allora, ma un numero impressionante di utili idioti se ne innamorò perdutamente. Prepuzio Mussoloni venne scelto principalmente perché era ricattabile – per i suoi vizi, le sue truffe ed i suoi interessi finanziari attivi – ma anche perché era l’interprete ideale della tragicommedia a cui abbiamo assistito negli ultimi vent’anni.
Gli analisti politici si preoccuparono anzitutto di inquadrare la zona elettorale in cui far confluire gli orfani del pentapartito. Tale zona grigia, riportata nella figura 12, era un rettangolo i cui lati non erano posti a caso. Il limite superiore era fissato al livello di corruzione minima necessaria a mettere in scena lo spettacolo (corruttibilità gongenita alla selezione dei candidati i quali dovevano essere naturalmente predisposti a mentire ai loro concittadini mentre servivano i padroni). Il lato inferiore della zona era congruente al livello di massima corruzione sopportabile dal sistema (l’esperienza di Tangentopoli aveva reso più nitido questo limite). La zona grigia era, per mille ragioni che abbiamo sviscerato nei capitoli precedenti, disposta al centro effettivo dell’asse sinistra-destra. La sua larghezza dipendeva dai fondi che i soci intendevano investire nella ‘campagna acquisti’.
Ora si trattava di riempirla, ma con cosa? Un sistema molto frammentato di piccoli partiti? Da escludere categoricamente. Non sarebbe stato ben visto dall’opinione pubblica ed avrebbe favorito le formazioni esterne alla zona. Un nuovo grande centro? Alla luce dei ricordi recenti non parve la soluzione più accattivante. Gli italiani, benché di poche pretese, chiedevano rinnovamento. Il pool di Milano aveva scaldato gli animi delle masse sedute trepidanti davanti al televisore. La rappresentazione andata in scena ininterrottamente nei quarantasei anni precedenti, con tutta la buona volontà, era un format che non si poteva riproporre tale e quale senza incorrere in un’inevitabile perdita di audience. Il mondo era entrato a piè pari nell’era della comunicazione di massa. Ai toni compassati della diplomazia vaticana si erano sostituiti quelli rampanti del miracolo economico. Per realizzare l’update era necessario ricominciare tutto daccapo, dalla favola della destra e della sinistra.
Le trama dell’ultima release della favola della destra e della sinistra sembrava sulla carta meno avvincente della sua ava ma nella pratica si sarebbe dimostrata spumeggiante grazie alle straordinarie doti degli attori protagonisti.