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In memoria di Mario Caiano

Creato il 23 settembre 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
la svastica nel ventre

Quando Mario Caiano faceva il cinema c’era effettivamente un altro cinema e c’era effettivamente un’altra Italia. Non sorprende quindi neppure se Mario Caiano ormai si era ritirato ad una vita di riflessione lontano da Roma, nel paradiso, come diceva, di Fara in Sabina. “Ormai é difficilissimo diceva “fare un film di genere in Italia, un genere che io intendo assolutamente come quello più puro, senza cioè la paura di cosa penserà dopo la critica…”.  Vero. Mario Caiano infatti era uno di quei grandi registi che semplicemente sapevano e volevano orchestrare al meglio quelle che erano le sparatorie, gli inseguimenti, le scazzottature, insomma la materia che richiedeva al meglio il miglior cinema di genere di andata memoria. Mario Caiano soffriva ancora l’idea di non poter più fare quel tipo di spettacolo, magnificamente adrenalinico, urlato, esagerato. Anche Mario Caiano era convinto dell’importanza del suo cinema, e quello dei suoi tanti colleghi di genere: “chi ha raccontato, ad esempio, senza zavorre, cioè senza gli orpelli e i nascondigli autoriali, lo stragismo, la corruzione, il terrorismo? Insomma chi ha raccontato al meglio, cioè con la vera mano popolare, l’Italia contemporanea? …” domandava. Ed era una domanda che effettivamente, almeno a noi, dava da pensare, da riflettere. “No…”  diceva Mario Caiano  “il verdetto critico diceva che questi film, netti e chiari sugli argomenti, erano film fascisti…”. E qui cominciava anche un pochino ad incazzarsi:  “…roba da pazzi… Insomma la filosofia dei nostri eroi, perlomeno dei miei personaggi, mi calzavano proprio a pennello: siamo soli, come sempre… ”.

il mio none è shangai joe

I suoi ultimi impegni glieli aveva offerti la televisione, “mamma Rai”, come la chiamava Caiano, chiarendo immediatamente il suo sfottò, che riandava ad un vecchio incontro con un dirigente della televisione di stato: “il mio contratto per una certa serie molto lunga era scaduto ma il lavoro non era ancora finito e certamente non per colpa mia, quindi si imponeva un rinnovo. Gli dissi che ovviamente ero disposto a concederlo e chiesi che fosse lui a formulare una proposta per il compenso. Si finse indignato ed in tono di paterno rimprovero insinuò: “ma come, per mamma Rai queste cose si fanno gratis…”.  Ma il lavoro in televisione, diceva, in ogni caso gli aveva dato quegli spettatori che, con il cinema, difficilmente era riuscito ad alzare: “come regista di cinema potevo contare al massimo su qualche decina di migliaia di spettatori, alla tv ne ho avuto dieci-dodici milioni di più…”. In questi ultimi tempi, forte forse proprio di un presagio, aveva licenziato una sua autobiografia, appunto Autobiografia di un regista di B-movies, edita dalle edizioni Il Foglio. Basta. Bastano semplicemente queste poche parole che abbiamo formulato per ricordare il regista Mario Caiano, scomparso il 20 settembre scorso. Facciamo parlare ancora, e solo, semplicemente, la sua filmografia, in venti anni di cinema, dal 1962, anno del suo primo film al 1977, anno dell’ultimo, ha testimoniato effettivamente e sempre la beltà di un mondo, di un sogno, quello del cinema più popolare:

Il segno di Zorro, Ulisse contro Ercole, Erik il vichingo, Goliath e la schiava ribelle,  I due gladiatori,  Amanti d’oltretomba, Maciste gladiatore di Sparta,  Le pistole non discutono, Ringo, il volto della vendetta, Per favore… non sparate col cannone, Sette pistole per un massacro, Un treno per Durango, L’occhio nel labirinto, Ombre roventi, Il mio nome è Shangai Joe, A tutte le auto della polizia…, La svastica nel ventre, Milano violenta, La malavita attacca… la polizia risponde!, Napoli spara.

Grazie Mario.

Giovanni Berardi



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