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In memoria di S. E. Mons. Maurizio Galli

Creato il 26 novembre 2012 da Ambrogio Ponzi @lucecolore

Dalla Messa da Requiem di Mons- Lorenzo Perosi: Libera me Domine. In memoria del Vescovo Maurizio Galli Cattedrale di Fidenza 29 maggio 2011 Coro Perosiano Cremonese diretto da Don Giuseppe Ferri
Il nostro Vescovo S. E. Mons. Carlo Mazza ricorda così il suo predecessore nella sua omelia nella chiesa di S. Michele a Vetere a Cremona.

Cremona, 21 novembre 2012.pdf


Cremona, 21 novembre 2012
Omelia in memoria di S. E. Mons. Maurizio Galli E’ veramente un intuito nobile che nasce dal cuore ciò che vi ha sospinto a celebrare la Santa Eucaristia nel ricordo affettuoso e riconoscente di un amico, di un fratello e di un padre, passato alla dimora di Dio per vivere, immerso nella beatitudine eterna, la pace dell’anima, finalmente la quiete del cuore dopo gli affanni della vita.
L’occasione è la ricorrenza del compleanno del Vescovo Maurizio Galli (1936-2008). Essa appare del tutto provvidenziale per stimolare ognuno di voi a ripresentare nello spazio della coscienza, attraverso una memoria grata e degna, la figura di un sacerdote e di un Vescovo che è stato per voi guida spirituale sicura, intelligente e coerente nel cammino di fede. In tale prospettiva lui è continuamente presente nel fervore dei ricordi a ciascuno di voi, quasi fosse un sigillo della vostra esistenza di cristiani. La memoria di un Vescovo amico Sotto questi diversi profili, la memoria di mons. Galli diventa preziosa e significativa. Assume un rilievo particolare perché è del tutto trascrivibile nella vicenda individuale di ciascuno di voi che avete avuto la grazia di conoscerlo, la felice opportunità di frequentarlo, il privilegio di beneficiare del suo insegnamento e della sua umanità. Tanto profondo è stato il solco tracciato nella vostra interiorità personale, da essere in ogni modo una lieta compagnia del viaggio della vita sulle strade del mondo. Per quanto mi riguarda, avverto tutto il disagio di rievocare la figura del Vescovo Galli disponendo soltanto di una conoscenza molto esigua e tra l’altro limitata agli ultimissimi anni della sua vita terrena. Pochi infatti sono stati i momenti di incontro, di scambio di valutazioni, di effettiva relazione, che avessero un interesse comune e preciso. Solo durante l’ultimo anno mi è stato possibile una più significativa frequentazione, inficiata tuttavia dal precipitoso aggravarsi della malattia. E tuttavia in questi cinque anni di servizio episcopale a Fidenza ho potuto raccogliere molteplici testimonianze sia da parte di sacerdoti, diaconi e religiosi che da parte di laici, di diversa estrazione sociale e culturale o di diverso orientamento politico. La somma di questi appunti testimoniali mi offrono la possibilità di un ritratto che, lo osservo con stupore, combacia nel sostanziale giudizio che mi sono fatto in questi anni in modo autonomo. Un uomo di Dio Mons. Galli ha lasciato un’immagine di vero “uomo di Dio”, ispirato e mosso da un’assoluta cristallinità morale e da un profondo sentire interiore. L’una e l’altro rivelano la qualità dello spirito e vengono percepite dal “sensus fidei” del popolo di Dio fidentino come specchio luminoso di un’anima pura, trasparente e ricolma di Dio. In verità il Vescovo Maurizio coltivava una “spiritualità” di immediata consonanza “popolare”, perché traspariva in lui la verità del vangelo. Forse si coniugava in lui una semplicità del tratto, disadorno ed essenziale, scevro da forme elitarie, coerentemente ispirato dal vangelo, e una scelta di coscienza, consapevole e tenacemente perseguita giorno per giorno, che segnava ogni suo pensiero e ogni suo atto. La gente tende a seguire non tanto chi parla di Dio, quanto piuttosto chi vive di Dio. E’ come se inseguisse, con fiuto infallibile, la testimonianza di chi rende evidente che Dio esiste. Qui Dio esiste non perché è dimostrabile, ma perché è visibile nella persona, nei suoi atti, nei suoi gesti, nelle sue parole, nelle sue scelte. Vi è un’eloquenza rivelativa della persona che non ha bisogno di clamore perché si fa trasparenza da se stessa. A me pare che nel Vescovo Maurizio, colto e fine ragionatore, si potesse cogliere non tanto la sua cultura teologica, la sua dignità magisteriale o la retorica del bene, tanto cara in certi stili e ambienti ecclesiastici, ma la semplicità disarmante di un “povero cristiano”, trovatosi ad essere Vescovo, suo malgrado. E’ forse questa la logica della sua ricercata negazione di sé per amore di Cristo – secondo il detto di Giovanni Battista: “Egli deve crescere, io invece diminuire” (cfr. Gv 3, 30) – che educò il Vescovo, a partire da lontano, ad una umiltà autentica, ben lontana da una umiltà moralistica e del tutto priva di afflato evangelico. L’uomo di Dio è proprio uno che non si appartiene più; non ha progetti per sé; non ha finalità proprie da raggiungere; non gli importa molto delle vicende dominanti nei palazzi del potere, né dei giudizi dell’opinione pubblica. Va dritto per la sua strada e guarda lontano, interpretando profeticamente i segni dei tempi e la grazia di Dio che agisce nella sua nitida coscienza. L’uomo di Dio è davvero di Dio e dei “poveri” uomini che intendono seguire il vangelo “sine glossa” per raggiungere Dio. Un uomo di Chiesa Da “uomo di Dio” a “uomo della Chiesa” il tragitto è breve. Il Vescovo Maurizio infatti amava intensamente la Chiesa, soprattutto quella a noi restituita integra dall’ecclesiologia conciliare. Forse – a mio sommesso avviso – non ne era un tifoso di una certa linea, non un audace innovatore, non un avanguardista. Era se mai uno che, osservando la storia e ancorato alla Tradizione più sana e feconda, desiderava o sognava una Chiesa convinta della sua missione nel mondo e capace di costruire un’autentica comunione, luogo concreto nel quale vivere semplicemente il vangelo. Non era la sua, mi pare, una Chiesa che si affannava ad inseguire il mondo, a stare à la page dei dibattiti salottieri o ecclesiali. Piuttosto una Chiesa profondamente inserita nella società, capace di dire la fede – senza scendere a compromessi – al popolo semplice e assetato di parole vere. Quel popolo che lui ben amava accarezzare con la tenerezza del suo sorriso, appena per altro accennato, di sincera condivisione. Nella Chiesa intendeva essere un testimone dell’essenzialità del vangelo, della purezza del vangelo, cioè in buona sostanza del vangelo delle beatitudini, perché lui per primo si presentava così ed era così, e non per posa ma per un naturale atteggiarsi. Una Chiesa che fosse forma storica di accoglienza, di fraternità, di solidarietà, oltre ogni complicazione. In realtà la sua visione combaciava con una Chiesa che, pur conservando le tradizioni, fosse disponibile alla cura dei contemporanei, mediante non i mezzi dell’efficienza, ma attraverso la potenza della santità di vita, povera, discreta, serva di tutti. E non tanto con discorsi raffinati, ma con l’eloquenza dei fatti e dei gesti. Il “tratto” del martirio In tale prospettiva sapeva bene il Vescovo Maurizio che vi era di mezzo un prezzo da pagare. E questo si presentava come una sfida assoluta, sotto la forma desueta del martirio. Ogni giorno – almeno da Vescovo – ha dato prova di assecondare coscientemente una forma interiore ed esteriore di vita come fosse attratta da quasi un destino di martire, sulla scia dell’Agnello immolato (cfr. Ap 5, 6). D’altra parte come ha finito i suoi giorni, non può che richiamare il dramma intimo della sua esistenza, vissuta come di un immolato, votato al sacrificio di sé in nome di una vocazione al martirio e di un trascinamento sulla croce di Cristo Gesù, modello insuperato di colui che consegna la vita al Padre. La figura del martire, testimone fedele e libero, discepolo coraggioso e tenace, rivela la personalità intensamente cristologica del Vescovo Maurizio e ne offre altresì un profilo tragico, se non fosse illuminata dalla speranza escatologica e dalla sua origine che è la Resurrezione. Di qui si manifesta come la fede nella gloria futura costituì la forza traente della sua sofferenza silenziosa. In realtà questo punto di vista – come un criterio ermeneutico della figura del vescovo – non è un’affermazione apodittica, ma porta ad una tipologia eucaristica. Tende cioè a identificarsi con il sacrificio pasquale offerto nel sacramento del corpo e del sangue di Cristo, ogni giorno celebrato e, ultimamente, a decifrare quella zona misteriosa della sua personalità che richiama il motto paolino del “cupio dissolvi et esse cum Christo” (cfr. Fil 1, 23). L’audacia sta tutta racchiusa e sigillata non solo nel suo carattere arcigno, ma nella scelta di vita di Monsignor Maurizio e val bene riprenderla e collocarla nella memoria affettuosa di noi che riandiamo alla sua testimonianza per tenerne il meglio in vista di una lezione di vita. Conclusione Penso, in conclusione, che per un compleanno bastano questi brevi pensieri. E forse sono anche eccessivi. Vorrei alla fine portare la mia testimonianza e confidarvi che la figura di questo vescovo cremonese mi affascina e mi inquieta per la ragione che sembra quasi appartenere a quella categoria di cristiani rocciosi e determinati, sapienti e lungimiranti, che sanno vivere la dimensione eterna del vangelo nel tempo terreno con una esemplarità unica. Questi cristiani, combattendo contro le insidie del maligno, sanno accettare la volontà di Dio e metterci sull’avviso di quel che ci aspetta, in modo di non affannarci troppo delle cose di questo mondo. Ma, soprattutto di quei cristiani che tanto si sono identificati a Cristo da essere di lui vera icona nel nostro tempo. + Carlo, Vescovo

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