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In morte di Giulio Andreotti. Sul Travaglio dixit: “La responsabilità politica lui la risolve con le battute”. E su Margaret Thatcher (postumo).

Creato il 06 maggio 2013 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

iandret001p1di Rina Brundu. Poche settimane fa è morta Margaret Thatcher, una grande donna e una grande statista. L’Irlanda che vide la Thatcher degli anni 80 fiera avversaria dell’IRA e assisté allo sciopero della fame dei suoi membri che speravano, così facendo, di riottenere lo status di prigionieri politici, l’Irlanda che testimoniò la successiva morte di Bobby Sands, ha reagito in maniera molto forte, specialmente in Rete. Un tale che si firma con il nick Joker OReilly ha scritto: “Mentre spero che alla fine abbia trovato misericordia e compassione, debbo anche dire che questa donna fu una sorta di H*t*er in gonnella per gli irlandesi (dico troppo?), e vi era un motivo se la chiamavano la Lady di Ferro, forse perché ha governato con un uno scettro di ferro e sarebbe stata un problema se anziché un Primo Ministro fosse stata una regina…. Intendiamoci, non sto parlando male dei morti, di sicuro non intendo farlo, sto solo commentando sulle sue azioni politiche quando era in vita”.

E mentre l’Inghilterra seppelliva in pompa magna, proprio come fosse stata una regina, questa grande donna e questa grande donna nata per fare politica, eco dei pensieri di JokerOReilly rifletteva nelle menti di coloro, in molti, che al passaggio del suo feretro hanno girato le spalle. Non concordavo, non approvavo il loro atteggiamento, ma li capivo. Ad un tempo, guardando quello spettacolo straordinario, non potevo non interrogarmi, con un pizzico di gelosia, sul fatto che una grande nazione come la Gran Bretagna –  i cui “deeds”, atti civile e politici della sua classe dirigente, re e regine,  primi ministri che fossero, avevo studiato per anni nei manuali che raccontano la loro storia bellissima e affascinante – aveva ancora padri e madri illustri da seppellire. Noi, noi dell’Italia repubblicana, e soprattutto dell’Italia repubblicana dell’ultimo mezzo secolo – mi dicevo – noi siamo orfani. Un modo come un altro per spiegarmi lo sfacelo corrente, un modo come un altro per spiegare l’inspiegabile-politico dei tempi.

Non ho cambiato idea. Neppure oggi, men che meno oggi, che è morto Giulio Andreotti. E per questi motivi – nonostante le buone cose pure fatte da questo politico italiano –  non mi unirò al coro di coccodrilli partecipi-e-sentiti che si leggono al momento sui siti dei principali quotidiani italiani. Quei quotidiani-che-contano. Quelli che dovrebbero insegnarci che fare-notizia significa prima di tutto tentare di dare una immagine per lo meno obiettiva dello status-quo, del contesto, del fatto riportato, e mai, mai lasciarsi trascinare dall’emozione del momento. Intendiamoci, come direbbe JokerOReilly, qui non viene inteso alcun disrispetto per i morti. Ne per l’intelligenza e/o la grande capacità, anche politica, di quei morti quando erano in vita. Per me l’intelligenza politica però non fa equazione completa con il machiavellismo portato agli estremi (per inciso, quello che non fu propugnato da Machiavelli ma solo descritto); così, mentre nella lady di ferro inglese, anche nei momenti più bui della sua carriera, non faccio fatica a vedere una linea d’azione politica ispirata ad un possibile motto “All for the sake of England” (in questo, degna pattriotica figlia di un’altra grande donna inglese, Lady Hillington, la quale, nel 1912, scriveva nel suo diario: “When I hear his steps  – nda del marito – outside my door I lie down on my bed, open my legs and think of England”), lo stesso non posso scriverlo per Giulio Andreotti e per l’Italia. Perché, citando Travaglio (nel suo intervento su Andreotti – AnnoZero del 30 maggio 2008), si potrebbe forse dire - tra le tante cose che si potrebbero dire - che la responsabilità politica non la si può risolvere con le battute. Con l’umorismo. Una qualità che è senz’altro sintomo di grande intelligenza, tratto di cui Andreotti non difettava, ma che non è una sicura panacea per ogni male.

Il Presidente Napolitano ha giustamente detto che Giulio Andreotti lo giudicherà lo Storia. A mio avviso però – dato che ha regnato per mezzo secolo sulla nostra nazione –  dovremmo poterlo giudicare un pochino anche noi. Altrimenti faremmo la figura di coloro che mancano di coraggio. Diceva Churchill: “Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché è quella che garantisce tutte le altre”. Naturalmente è pure lo stesso Churchill che pensava: “Gli Italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre”. Il che è tutto dire.

Featured image, Giulio Andreotti, fonte Wikipedia.

 


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