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In nome di tutti i Giulio Regeni

Creato il 19 febbraio 2016 da Soniaserravalli

Questo blog oggi risorge in nome di Giulio Regeni e di tutti quelli come lui, soprattutto egiziani, condannati e tortura e a volte anche alla morte,  per amore di verità, senza che nessun giornale li ricordi.

Attorno al caso Regeni, ho ritrovato in rete quasi tutti i blogger e liberi giornalisti con cui ero in contatto durante la Rivoluzione Egiziana, 1 e 2.

Ho lasciato l’Egitto con uno strappo il 9 marzo del 2015, dopo una  storia d’amore tra me e quel Paese di nove anni. Questo blog può essere anche il mantenimento di un cordone ombelicale. Che credevo di voler recidere, ma che a tratti mi richiama.

Sopra ogni cosa, mi rendo conto in questi giorni dell’importanza di questo blog quale archivio. Archivio di pillole di verità, raccolte anche direttamente dalla gente in Egitto, di aneddoti che poi vengono dimenticati ma che sono stati fondamentali nel definire un periodo o nel colmare le lacune delle news ufficiali, di bufale, di indiscrezioni, ricordi e pezzi di storia.

Così, per esempio, voglio registrare qui di seguito i miei più recenti post degli ultimi giorni.

La mia intenzione è poi quella di integrare il blog Rivoluzionando con quello che riuscirò a recuperare che non è stato pubblicato qui a partire dal 2013, ma che è rimasto registrato sui social network. Non posso dare scadenze. So solo che prima o poi ci arrivo.

14 febbraio 2016

Quando sento parlare di Giulio Regeni mi ribolle il sangue.
Durante la rivoluzione egiziana scrivevo a un blog, e mentre la gente moriva, per molti è stato uno dei momenti più euforici della vita. Credevamo nel cambiamento e credevamo nel sogno, eravamo davvero convinti che le cose sarebbero cambiate per sempre… A proposito, anche Giulio Regeni è un martire, un martire che va a unirsi alla lunga lista di chi in Egitto si è schierato dalla parte della giustizia e per questo è stato torturato e ha perso la vita. Allora credevamo in un paradosso grande come una montagna, che a distanza di tempo e spazio mi sono resa conto essere null’altro che, appunto, un paradosso, una contraddizione gigantesca. Ossia il credere, sia nel 2011 sia nel 2013, che lo stesso esercito, al potere di una dittatura disumana da quasi 60 anni, potesse davvero essere amico del popolo e farci da spalla. Per questo mi sono anche inimicata un blogger egiziano, di cui ora mi sfugge il nome, oppure ha dovuto proteggersi in incognito, che allora remava contro tutti cercando di aprirci gli occhi sull’assurdo. Non so come sia potuto succedere: la forza prorompente di quel risveglio, di quella rivoluzione sognata per tanto tempo, ci aveva drogati: avevamo bisogno di credere che fosse possibile e che fosse vero. Non si poteva concepire altro di fronte a tutte quelle perdite (dei martiri della rivoluzione, ma anche di tutti i torturati e uccisi per decenni). Ovviamente, l’esercito ha appoggiato il popolo il tempo necessario a tornare al potere, sia la prima, sia la seconda volta, e poi è si abbarbicato nel suo potentato feroce peggio di prima, coadiuvato anche dalla lotta, necessaria e comunque reale, alle diverse fazioni terroristiche in giro per il paese (a loro volta rafforzate dalla caduta di Mubarak e dal breve governo e poi rovesciamento del gruppo terroristico dei Fratelli Musulmani). I diritti umani sono tornati nel dimenticatoio, con l’aggravante che adesso ai rivoluzionari, agli attivisti e ai “democratici” dovevano anche “fargliela pagare”.
Leggo di chi ancora si chiede come sia andata per Giulio e se si tratti o no di assassinio politico. Solo un anno fa ho scritto un diario di viaggio dal Cairo in cui la persona con me, egiziano, ha rischiato di esser portato dentro (che in Egitto corrisponde subito a torturato se non peggio) solo perché scattavamo foto a un bel colonnato. Ha dovuto fingersi mia guida e io ho dovuto fingermi turista e stupida, mentre spiegavo che la macchina fotografica fosse effettivamente mia. Solo allora, di fronte al mio essere straniera e ignara del loro mondo, hanno cambiato tono, ci hanno lasciati andare e mi hanno addirittura detto “benvenuta in Egitto, benvenuti turisti”. L’ipocrisia di certe teste calde nell’esercito, cresciute al di sotto del livello animale e spesso ancora analfabete, è disarmante. Credo che se mi leggessero non capirebbero neanche che cosa intendo dire. La risposta agli interrogativi dei giornalisti stranieri (non egiziani) è che in Egitto TUTTO è politico, perfino il pane che mangi da bambino. E scopro oggi per caso perfino che conoscevo la persona che aspettava Giulio quella sera e che ha avvisato l’Ambasciata dopo averlo aspettato inutilmente in un’ora da incubo. L’Egitto è grande ma è piccolo, in Egitto fanno gli stolti e poi sanno sempre tutto di quello che fai, che scrivi e di dove ti muovi. Però una specie di psicosi, anche se c’è sempre stata, nell’ultimo paio di anni si è andata ingigantendo di mese in mese e NON E’ POSSIBILE ragionare di quel che capita in Egitto come se fossimo in Europa. Le risposte sono più scontate di quello che pensate se smetteste tutti di sopravvalutare i dittatori africani (e non solo), perché ci fa comodo così o vogliamo credere così o certe atrocità non le possiamo proprio neanche immaginare solo perché siamo nati qui.
Grazie per il tuo coraggio e complimenti per il tuo coraggio, Giulio e grazie anche a tutti coloro che scrivono da là, per una giusta causa.

18 febbraio 2016

Grazie Andrea Teti​, che ho avuto il piacere di conoscere a Dahab dopo averlo sentito ad un intervista in TV.
Queste ipotesi hanno del demenziale (un passo oltre il fantascientifico). Tanto quanto, all’egiziana, le illazioni degli ufficiali egiziani di poter curare epatiti e AIDS con un macchinario di loro invenzione (2013), tanto quanto i discorsi che faceva Morsi, tanto quanto la barba rotta di Tutankamon attaccata con la colla (confermata, poi smentita e poi riconfermata e alla fine han deviato l’attenzione pubblica per una stagione), tanto quanto la notizia che certe ambasciate avevano chiuso per motivi di sicurezza (mi pare inizio 2015), quando era perché i soldati le avevano ridotte a pisciatoi (vedere mio blog e a questo punto utile archivio http://www.rivoluzionando.wordpress.com, il libro “Se baci la rivoluzione” e i post passati).
In ogni caso, rimando a quel che avevo scritto nel post precedente su Regeni: NON E’ POSSIBILE ragionare di quel che capita in Egitto come se fossimo in Europa. In Egitto torturano e uccidono menti pensanti ogni singolo giorno solo per essere tali, non hai affatto bisogno di essere una spia per meritare questo trattamento, se sei egiziano poi basta che fai qualche foto in pubblico (vedere il film con Ahmed Helmy A3sel Eswid, realista e geniale) e da anni continuo a chiedermi perché i giornalisti non colmino queste sfasature tra differenti modelli sociali con l’ausilio di referenti in loco o antropologi, se non riescono a vivere sui luoghi. Andrea Teti, Gennaro Gervasio, Marco Alloni​ conoscono bene l’Egitto, ma sono troppo pochi coloro che scrivono le cose con cognizione di causa, e solo raramente arrivano alle testate nazionali, in qualunque paese. Tutto il resto è fantascienza, fantapolitica o demenza. http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/17/regeni-docente-giulio-non-era-una-spia-ricerca-partecipata-metodo-normale/2472424/

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