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Non lo so di chi è l'intuizione brillantissima, devo averla letta da qualche parte e ora non mi ricordo dove, ma è davvero difficile inventare qualcosa di nuovo: anche la letteratura, in sé, se ci pensi, a dar retta a Frye, poi, non è che tutt'un ripetersi d'undici topoi, generiamo cloni che si riproducono micologicamente, e non se n'esce, amico mio.La chiave è nell'interpretazione del ruolo.
O forse dovremmo prenderla così com'è, e rassegnarci di fronte all'ineluttabilità: capita che una rivista sia già vista e rivista, e che in una serata nomàta Rivisticidio si compia una mezzaspècie di eccidio del concetto stesso di rivista: nomen omen, e amen.
Ora è successo che un venerdì di settembre, alla Libreria Altroquando di Roma, una bella libreria invero, Federico Di Vita si sia pigliato la briga di organizzare una - come vogliam chiamarla? - kermesse, anzi no meglio grangalà, anzi rendez-vous, no, guarda, un confronto, o forse uno scontro, un melting pot, ecco, un melting pot forse no, diciamo una festa di presunte riviste presuntamente letterarie provenienti da quella zona d'ombra che a tutti - presumo - piace chiamare underground.
C'erano inutile opuscolo letterario e Follelfo, CadillacMag e The Trip, c'eravamo nojaltri di Prospektiva, e poi Taccuino all'Idrogeno, e Costola, sì, eravam questi.E abbiam fatto che, essenzialmente, leggevamo delle cose. Una manciata di minuti a testa, e leggevamo. Racconti. Spezzoni. Ròbe così.
Matilde Quarti di Follelfo ha letto un racconto che si intitolava Le navi ribelli di Urano, di Matilde Quarti.E poi Pippo Balestra un altro racconto, Tutti morti, divertente davvero, non è su nessun numero di Costola, che è la rivista che Pippo dirige, e niente: il racconto era di Pippo Balestra.
Mi son perso molti degl'altri, son sincero e vieppiù tabagista, un tabagista sincero regge venti minuti e senza starsela troppo a raccontare se la va a sfumacchiare, nondimeno con un quesito in testa: perché facciam riviste? Per chi facciam riviste?E soprattutto: quando poi ci troviamo a leggerne dei brani in pubblico, agli altri, alle altre riviste, qual è il criterio con cui scegliamo il brano da proporre?Dovrà essere significativo della linea editoriale della rivista? Del mood della redazione? O del nostro, capetti in pectore, che ci prendiam la briga di spaccarci il culo e mi sembra pure giusto, un po' di sano solipsismo?
Cerchiamo voci nuove, pubblichiamo brani sperimentalissimi che crediamo espressione della narrativa nuova giovine e spensierata, andiamo proclamando.Poi, ce la leggiamo a voce alta.Finiamo per diventare noi, la rivista: nomen. Omen. E amen. Forse dovremmo prenderla così com'è, rassegnarci di fronte all'ineluttabilità, così è stato e così sempre sarà, ròbe già viste, le riviste, ti pare che stiamo a scandalizzarci se in una serata nomàta Rivisticidio si sia compiuto una mezzaspècie di eccidio del concetto stesso di rivista?
Io, un giorno, poi, vorrei fare un numero di Prospektiva con testi scritti da gente che non solo di mestiere non scrive, ma che non gl'è mai neppure passato per la testa, di scrivere un pezzo per una rivista. E poi lo farei leggere a voce alta a gente che non solo di mestiere non legge a voce alta, ma che non gl'è mai neppure passato per la testa, di leggere a voce alta un pezzo pubblicato in una rivista.Ma magari, magari è una cosa già vista e rivista, vai a capire.
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