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In palestra

Da Darioanelli @dalmessico
In palestra
Nell'università nella quale lavoro è a disposizione di alunni e professori una palestra. Si tratta di una struttura moderna di cemento e vetro. La parte di cemento è colorata di rosso mentre la grande vetrata è scura come una lente polarizzata.
Dentro l'ambiente è ordinato ma spartano: il pavimento è in cemento industriale, gli spogliatoi hanno semplici panchette di alluminio e, lungo una parete, sono disposti gli armadietti per custodire zaini e vestiti.
Gli istruttori sono professionisti e studenti di educazione fisica che svolgono lì il proprio tirocinio. Va detto che i tirocinanti non seguono proprio benissimo i clienti; in caso di necessità chiariscono un dubbio ma non si sognano di assistere i ragazzi che fanno panca piana o altri tipi di esercizi ad esaurimento. Piuttosto approfittano per fare pesi e successivamente osservare i progressi muscolari allo specchio.
Tutto sommato è un bell'ambiente per l'assenza di culturisti grugnenti; ci sono solo studenti che sognano un addome scolpito e dei bei bicipiti.
Il Messico è un paese di contraddizioni, su alcune è bene non scherzare, ma su altre sì.
Tranquilli, in questo post siamo nel secondo caso, perché parliamo di Lupita (nome inventato), la segretaria della palestra.
Come vi immaginate la persona che parla con il pubblico, in una palestra, in un tempio della società occidentale consacrato alla cura e al perfezionamento del corpo?
Di certo ad una ragazza perfetta, una di quelle che fanno le pubblicità per i cereali: alta, ventre piatto, lunghi capelli biondi e magari un grazioso tatuaggio che spunta da qualche parte.
Nel caso di Lupita ci discostiamo parecchio da questo ideale.
In genere si presenta in tuta sportiva. Ha la faccia rotonda come la luna piena e un corpo che pare una scultura di Botero. Ecco, lei accoglie gli studenti che le chiedono informazioni e lei deve, fra le altre cose, spiegar loro i benefici delle attività sportive proposte.
Ora, non voglio infierire su Lupita, che è una ragazza dolcissima, sempre di buon umore e molto efficiente nel suo lavoro.
Confesso però che ho provato ad immedesimarmi nella sua situazione. Come si sente Lupita in un contesto del genere, essere (quasi) l'unica donna obesa in un ambiente di gente tonica, di glutei alti e di pance piatte?
La prima conclusione a cui arrivai è che Lupita se ne sbatte altamente di com'è fatta. La prova la ebbi una mattina, quando estrasse da un cestino la sua merenda: un gigantesco panino imbottito di carne di porco piccante. Se ti mangi queste squisitezze alle nove del mattino, poi non possiamo poi lamentarci della situazione.
Pareva non notasse che gli istruttori, suoi colleghi, in quella stessa occasione, preferivano alimentarsi di verdure e pollo alla piastra.
Non c'è speranza, pensai. In Messico ci sono delle donne obese che vestono con abiti attillati come se fossero delle ventenni da concorso di bellezza. Perché lo fanno, chiesi? Mi fu risposto che loro non si vedono con obiettività. Non si sentono “così grasse”. Loro si guardano allo specchio e vedono la ventenne da calendario.
Nei mesi successivi però accadde qualcosa. Vidi Lupita andare nell'ufficio del dietologo della palestra. Lasciò la porta aperta e notai che stava utilizzando un dispositivo che serve per determinare la massa grassa corporale. Quando il dietologo le disse il risultato parve non scomporsi.
Sorrisi dentro di me sapendo che il primo passo per cambiare qualcosa di noi è appunto rendersi conto con obiettività di una situazione.
Nei giorni successivi non vidi più panini al maiale. Pensavo che Lupita avesse cominciato un percorso. Il destino l'aveva portata a lavorare nel posto giusto: una palestra. Terminato il lavoro, non doveva a far altro che salire su una bicicletta e pedalare, poi le cose sarebbero venute da sé, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana.
Invece non fece nulla di tutto questo, ritornò alla scrivania e alle sue vecchie abitudini. Ogni giorno dà informazioni a ragazze carine, riceve le ricevute di pagamento da parte di giovani atleti.
Lei sembra serena. Forse non era ancora pronta per il gran cambio, o forse, secondo il suo punto di vista, si trattava di un cambio non necessario.
O forse questa società ci impone di cambiare e di superarci in continuazione ad un ritmo esagerato secondo stereotipi comuni. O forse Lupita non ha abbastanza forza di volontà. O forse sono io che appena vedo qualcosa di diverso comincio ad elucubrare storie che non portano da nessuna parte.
Vizio di blogger.
Oppure, in ultima analisi, Lupita mi insegna che, allontanadoci un poco dall'ossessione di noi stessi, possiamo stare bene dappertutto.
Teniamo buona questa!

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