Racconto di Rosario dello Iacovo (Qui la sua Pagina Facebook)
Una delle prime volte che sentii una tua canzone, era il 1979.
Le note di Je so’ pazzo accompagnavano un servizio della Rai su Napoli e il ritornello arrivò dopo una curva, oltre la quale c’era il vecchio casello della tangenziale del Corso Malta.
Sotto, il campo di calcio senza un filo d’erba dei Salesiani, dove io crescevo tirando calci a un pallone. Avevo tredici anni e allora non sapevo, che quel posto sarebbe diventato insieme un angolo di Terzigliano, il luogo immaginario della mia anima.
Il campo ce l’avevo proprio sotto casa.
Lo vedevo dal balcone dell’ultimo piano, insieme al mare, a Capri, alla penisola sorrentina e a quella terra di nessuno, nella quale è ambientato il settimo capitolo della mia biografia dei 99 Posse.
Sì, esatto, era proprio là, dove tanti piccoli Rosario, Vladimir e Bidone si affacciavano alla vita in quella calda estate del 1976.
Il campo poi lo rividi nell’Uomo in più di Sorrentino. Infine non lo vide più nessuno, perché i preti lo vendettero perché ne facessero il nuovo svincolo della tangenziale.
Ogni volta che uscite al Corso Malta, sappiatelo: sotto di voi ci sono le storie evanescenti e i sogni di una generazione di bambini che cresceva in strada. Se invece la prendete in entrata, nel punto in cui il curvone scende al punto più basso, prima di risalire verso il viadotto principale, guardate alla vostra sinistra: sotto i piloni di cemento armato, forse riuscite a sentire ancora le nostra grida.
E magari anche la voce di quel vecchio compagno, che la sera del 20 giugno del 1976 chiedeva a mio padre, se avrebbero finalmente esposto la bandiera rossa.
Ecco, è lì che io sentito per la prima volta Je so’ pazzo. Poi l’ho cantata insieme a mio nipote Yuri, che stamattina mi ha chiamato per darmi la notizia che io già sapevo, e suo cugino Davide, un giorno d’estate che li andai a prendere a Gallipoli, mentre risalivamo la terra dei nostri padri. E loro ridevano sempre, in un altro dei miei racconti. E sì, perché anche per un ragazzino di dodici anni, tu sarai per sempre Pino Daniele. Come Totò, i De Filippo, Nino Taranto, Massimo Troisi, Mario Merola e i troppi altri per ricordarli tutti, tu da oggi veglierai sulle paure, ‘e nu popolo ca cammina sott ‘o muro. Vuless abbraccia’ a frateto Nellino, stammatina. Come nelle interminabili notti del Frame di Via Palladino, con Tommy che urlava e rideva, prima di andarsene per sempre qualche anno fa a Firenze, dopo un trapianto al fegato. Solo come un cane, perché nessuno lo sapeva.
Io non credo nella vita dopo la morte, ma credo nei ricordi. E nella memoria collettiva di questa città, da oggi stat tutt quant assieme: famosi e sconosciuti, buon e malamente, viecchie e guagliun.
Perché in giornate come questa, ognuno di noi si sente più napoletano, uno di quei ragazzini di dieci o settant’anni ca so crisciut cca, addò saje ca nun si sulo.
Rosario Dello Iacovo