Secondo gli attivisti dei comitati locali anti-regime, Lcc, le forze del presidente siriano, Bashar Al Assad hanno utilizzato armi chimiche in prossimità di piazza Abbasidi a Damasco e nel sobborgo di Jawbar. Il bilancio, secondo gli insorti, è di “almeno un morto e 30 feriti documentati”.
Una notizia preoccupante ma da valutare con molta cautela. E’ poco probabile, infatti, infatti che utilizzando armi chimiche non meglio definite si provochino solo 1 morto e trenta feriti.
Ciò non esclude, però, che Assad disponga di armi chimiche stoccate in due o tre siti a ridosso del confine con il Libano e sotto la protezione degli amici Hezbollah, fidati alleati del comune amico iraniano. Depositi che le forze armate siriane hanno iniziato a spostare dall’inizio dell’estate dimostrando di non voler rinunciare al proprio arsenale non convenzionale. Una decisione che potrebbe preannunciare un’escalation incontrollata del conflitto.
Le riserve siriane non dichiarate di gas nervini ed iprite hanno da tempo impensierito le Nazioni Unite e molti dei Paesi della Regione mediorientale per un duplice motivo. Il primo quello che il regime possa utilizzare queste armi contro l’inerme popolazione civile provocando stragi di massa ed inquinamento rilevante del territorio. Il secondo perché gruppi terroristici emergenti od appartenenti ad Al Qaeda, sicuramente già infiltrati fra i ribelli, possano impossessarsene per realizzare “bombe sporche”.
Il governo siriano nega di aver spostato le sue riserve di armi chimiche, e di fatto ha ammesso la loro esistenza non avendo peraltro la Siria mai firmato la convenzione internazionale del 1992 che rende illegale la produzione, la conservazione e l’uso di armi di questo tipo.
Peraltro un industriale di Aleppo rifugiato in Libano, tale Mohammad Sabbagh ha rilasciato una dichiarazione al Time in cui ammette di aver in tempi passati venduto al regime di Assad materie prime per la realizzazione di aggressivi chimici letali. Aggiunge anche che l’impianto di sua proprietà per la realizzazione di cloro gassoso destinato alla potabilizzazione delle acque è caduto pressoché integro nelle mani di Jabhat al-Nusra, il gruppo di fondamentalisti islamici che combatte a fianco dei ribelli e collegato ad Al Qaeda.
L’utilizzo di armi chimiche da parte dei governativi è anche confermato, sempre per quanto riferito da “The Time”, da analisi fatte in Inghilterra su campioni di terreno prelevati a Damasco da Truppe Speciali britanniche e dalla scoperta il 19 marzo u.s. nella zona di Aleppo di 30 vittime probabilmente uccise da gas nervino.
Sicuramente ormai in Siria la spirale di violenza è fuori controllo. Il regime è alla corda ed in procinto di essere abbandonato anche dagli alleati più fedeli come Russia e Cina, per cui in un improvviso colpo di coda potrebbe utilizzare su larga scala l’arma chimica alla stessa stregua di quanto fece Saddam Hussein in Kurdistan quando durante la guerra Iraq – Iran il 16 marzo 1988 nella città di Halabja.
Minaccia incombente che potrebbe spingere l’ONU ad accelerare l’invio di caschi blu in Siria come dichiarato ad un giornale libanese “Al Safir” da Lakhdar Brahimi, inviato speciale in Siria delle Nazioni Unite e della Lega Araba. Parole che sigillano le sue dimissioni previste per il prossimo 18 aprile, dopo non essere riuscito ad ottenere i risultati previsti dal mandato ricevuto.