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Non so se si è notato ma ultimamente gli inglesi vanno forti da queste parti (basta guardare qui e qui).
E oggi si parla ancora una volta di una serie televisiva british, non tanto per celebrare/decantare la dipartita della Lady di ferro (a proposito) ma perchè questa miniserie televisiva fatta solo di 3 episodi è una spanna sopra le produzioni americane attuali.
Il perchè?
Per l'originalità del soggetto prima di tutto.
E per la semplicità della messa in scena che non significa povertà di mezzi, in secondo luogo.
Partiamo dalla trama.
Si tratta ancora una volta di zombie. Sì, gli ormai sovraesposti morti viventi già visti nei vari film di Romero, nella saga di Resident: Evil e, ovviamente, nella popolarissima The walking dead, sono presenti e al centro della scena anche qui.
Ma non si creda che gli inglesi facciano le cose come gli altri.
No, no. Loro sono capaci di reinventare, di usare i morti viventi come pretesto per parlare non di umanità alla deriva ma di integrazione, di accettazione e di elaborazione del lutto.
Perchè gli zombie di In the flesh dopo il loro risveglio nel 2009 sono sì stati tenuti a bada da una sollevazione popolare armata e agguerrita -la HVF- ma sono anche stati catturati trovando per loro una cura che è riuscita in molti casi a bilanciare la crescita e la riproduzione delle cellule morte del loro cervello. In poche parole li ha ri-riportati in vita, facendoli tornare ad essere umani come gli altri se non per il fatto di essere morti una volta e di non poter morire se non colpiti nel cervello, in sintesi persone affette da Sindrome di parzialmente Deceduto (PDS).
Al centro di tutto c'è il complessato Kieren. Ragazzo timido e in procinto di tornare dopo un intenso trattamento di cura a casa. Il problema è che casa non è poi così sicura. Proprio a Roarton infatti si era formato il primo nucleo del HVF e ancora in molti osteggiano il piano di integrazione del governo e sono disposti a tutto pur di osteggiare tali leggi. La sorella di Kieren, Jem, fa parte dell'HVF e non è affatto felice del ritorno del fratello che deve in un primo momento essere tenuto nascosto, con tanto di fondotinta e lenti a contatto fornite dal governo per mimetizzarlo ai "normali".
Nei tre episodi che compongono In the flesh, accanto al tema delicato dell'integrazione e dell'accettazione del diverso c'è spazio anche per l'elaborazione del lutto a livello famigliare, nonchè per una misteriosa nuova fede che prende piede tra i risorti (grazie alla quale si conosce Amy, affetta da PDS ma piena di vita e senza remore). Ma a tenere le fila del tutto è il tormentato rapporto tra Kieren e Rick, prima e dopo la loro morte, quell'amicizia che forse è stato qualcosa di più se non fosse per il dispotico padre di Rick che intercede tra loro, ostacolando di continua la loro felicità.
Con un finale amaro e ricco di anticlimax, dove ogni cosa si risolve in modo inaspettato ma comunque convincente, molte cose restano in sospeso e si spera così nella produzione di una seconda stagione.
Nel frattempo, è il caso di dirlo: British do it better!
Guarda il Trailer
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