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Sono passati diciotto mesi dal ritorno a casa di Kieren Walker.
Il giovane cerca di reintegrarsi in tutti i modi nella ricostruita società di Roarton, ma in tanti soffiano sulle braci dell'intolleranza per distruggere la precaria convivenza tra umani e zombi.
In Inghilterra sta prendendo piede Victus, un nuovo partito pro- vivi estremamente razzista e radicale nelle sue posizioni anti risorti. Anche tra quest'ultimi le posizioni si complicano sempre più, se Kieren e pochi altri hanno accettato la loro doppia natura di risorti e curati - o "parzialmente morti" (PSD) secondo la definizione ufficiale- molti altri paiono rimpiangere il loro aggressivo passato.In particolare i seguaci del misterioso Profeta Zombi e la loro organizzazione paramilitare chiamata ULA sognano la venuta di una seconda e più sanguinosa resurrezione dei morti.
All'interno della stessa famiglia Walker i rapporti si deteriorano rapidamente.
Ma sarà con l'arrivo a Roarton di Amy la vecchia amica zombi di Kieren a far precipitare le cose, Amy è accompagnata dall'ambiguo Simon, uno dei seguaci del Profeta Zombi che è in cerca del "primo risorto" colui che darà inizio alla seconda resurrezione, contemporaneamente però nel villaggio inglese fa la sua comparsa anche una rappresentante di Victus.
Sta per cominciare una nuova guerra.
Nel 2013 lo sceneggiatore inglese Dominic Mitchell ed il regista Johnny Campbell davano vita ad una piccola miniserie ( tre episodi in tutto) che affrontava l'argomento della zombie apocalypse da una prospettiva diversa, non quella dell'inizio del fenomeno, non quella della lotta per la sopravvivenza delle sempre più ridotte comunità di esseri umani e nemmeno quella della vittoria finale dei non morti. No, la prospettiva scelta da In the Flesh, questo il nome della piccola serie, era stata il mostrare lo scenario del giorno dopo, cioè che sarebbe potuto accadere nel momento in cui, grazie ad un vaccino, gli zombie sarebbero potuti esser curati riacquistando parte della loro umanità ed essere reinseriti nella società. La serie quindi si era trasformata in una metafora dei problemi, dei contrasti, ma anche sulle sfide e sui successi che comporta la convivenza in una società multietnica. In the Flesh grazie anche ad una buona interpretazione di Luke Newberry nel ruolo del sensibile protagonista Kieren Walker e alla indovinata colonna sonora opera del poeta e musicista folk britannico Keaton Henson, aveva riscontrato un certo successo in Inghilterra ed anche da noi gli appassionati avevano gradito (ne avevo parlato anche io QUI ).
Adesso il terzo canale della BBC ci riprova e mette in cantiere una seconda stagione, con più episodi, più personaggi e più trame ad essi connesse.
Ma è giusto, dare seguito ad una produzione di successo? Possono le seconde stagioni, i capitoli 2, i seguiti mantenere la stessa alta qualità dei capitoli 1?
Bella domanda, vero?
Allora, diciamo subito che, in questo peculiare caso, tutto sta nel numero degli episodi: sei nella seconda al posto dei tre di quella originale.
Se la cosa da un lato permette un maggiore sviluppo di certi particolari e l'immissione di un certo numero di scene gore, quasi del tutto assenti in precedenza, dall'altro purtroppo si allunga in maniera eccessiva il brodo, creando tutta una serie di situazioni ininfluenti ai fini della trama.
Bisogna anche dire che al comando della regia non c'è più il bravo Campbell ma un gruppo di altri registi sicuramente meno dotati, tra cui il mestierante Jim O'Hanlon e che la presenza delle musiche di Keaton Hanson viene (purtroppo ) ridotta al minimo indispensabile.
In più - particolare non ininfluente- alcuni personaggi vengono completamente stravolti; l'esempio più eclatante è quello di Jem, la sorella di Kieran (una discontinua Harriet Cains ) le cui caratteristiche vengono ridefinite più e più volte nel corso del prosieguo della vicenda
E non sempre la cosa viene effettuata in maniera efficace.
E' difficile riconoscere la Jem forse un poco glaciale ma decisamente coerente nella sua evoluzione della prima stagione alla piagnucolosa (ed anche un po cogliona) immatura bambinetta che appare adesso.
Lo stesso trattamento viene compiuto, sia pure in misura minore, per le figure dei genitori di Kieran, ridotti quasi al rango di macchiette, sinceramente che dopo aver combattuto tanto- sempre durante la stagione precedente- per riprendersi in casa il figlio zombie e gay, supportandolo in tutto e per tutto, adesso, senza motivi apparenti non vedano l 'ora di liberarsene al primo accenno di guai.
Ma è un poco tutta la l'abbondanza di trame, non sempre ben gestite o distribuite, a non convincere del tutto, specialmente perché a molte di queste non viene sempre data risposta.
O se viene data sembra volutamente sottotono.
Rimane così la sensazione che alcune scelte di sceneggiatura siano state effettuate non perché funzionali allo sviluppo della storia ma semplicemente per dilatare le vicende il più possibile.
Queste le cose che mi hanno convinto di meno.
Veniamo adesso agli aspetti positivi.
Che ci sono e sono tanti.
Aumenta anche la complessità della "visione d'insieme", stavolta il focus non è più solo quello riguardo le difficoltà d'inserimento del diverso all'interno della Società, stavolta il punto di vista centrale non è quello di Kieran ( "estraneo" alla piccola e chiusa comunità di Roarton non solo in quanto zombie ma perché gay ). Adesso i punti di vista sono molteplici, perchè quello che sembra interessare a Dominic Mitchell é piuttosto il voler individuare le radici del conflitto e la difficoltà di trovare un equilibrio tra comunità.
Insomma, il centro dell'azione non è più il "come" succedono le cose, ma il"perché"avvengono.
La risposta sembrerebbe scoraggiante, almeno ad una prima analisi: il fanatismo ha molti padri e molte madri, non esiste una comunità o un gruppo etnico incolpevole, non ci sono divisioni manichee tra bene e male, tutti possono contribuire all'intolleranza a causa delle proprie scelte.
Quelli che dovrebbero avere tutte le ragioni, cioè gli esseri umani, si dimostrano invece ipocriti, gretti, meschini, intolleranti.
Victus, il partito pro-umani xenofobo e razzista diventa così una chiara metafora dei tanti movimenti e partiti politici separatisti che tanto stanno avendo successo in Europa come in Inghilterra, così come Maxine Martin (la brava attrice di origine nigeriana Wunmi Mosaku) l'inviata dello stesso Victus che arriva a governare Roarton è che convince con le sue parole ed i suoi comportamenti melliflui quasi tutti i suoi abitanti è l'emblema perfetto di tutti quei politici populisti che ci stiamo (purtroppo) abituando a vedere in circolazione.
Interessante anche la scelta di un personaggio di colore per il ruolo dell'antagonista, decisamente una decisione non scontata.
Per contro gli zombie ( o meglio gli affetti da PDS nella definizione del telefilm, cioè da partially death syndrome ) non sembrano certo migliori: molti tra loro sembrano rimpiangere il passato aggressivo e la loro natura selvaggia. Iparticolare i seguaci del sempre più minaccioso Profeta zombie non sono certo meno fanatici e convinti della propria supremazia degli esseri viventi, la ULA, non è certo meno pericolosa dei fascistoidi gruppi umani di cacciatori di zombi presenti a Roarton.
I due gruppi, gli umani e i risorti si dimostrano così l'uno lo specchio dell'altro.
Molto più simili di quanto gli piaccia ammettere, ma troppo chiusi nelle proprie convinzioni per poterlo comprendere.
Ma proprio perché le cose sono molto più complesse di quanto possa sembrare sono le vicende dei singoli che fanno la differenza.
E che in qualche caso creano speranza.
In particolare è proprio quello che nella prima stagione era il personaggio più ambiguo e viscido di tutti, cioè l 'ondivago ed ipocrita consigliere Philip (un bravissimo Stephen Thompson ) a fornire uno dei pochi esempi positivi nel momento in cui ammette i propri difetti e le proprie colpe (secondo gli altri) ma anche di essere innamorato della risorta Amy in quella che è forse la scena più convincente -e forse una delle più belle e commoventi - di tutto il telefilm.
Ma c'è anche stessa Amy, le cui vicende potrebbero dar vita ad una terza stagione, così come c'è Simon (l'irlandese Emmet Scanlan) arrivato in cerca del primo risorto su ordine del Profeta Zombie per poter dare inizio alla rivoluzione finale contro gli umani ma che alla fine si innamorerà di Kieren comprendendo la stupidità di tutto quello che lo circonda e rinnegherà tutte le scelte compiute fino a quel momento.
E infine c'è lo stesso Kieren.
Pur non essendo più il protagonista assoluto degli eventi, rimane comunque il catalizzatore della vicenda, il perno attraverso il quale ruotano non solo le azioni, ma anche i sentimenti di tutti gli altri.
Quello che è più importante è che, il giovane si dimostra l'unico coerente dall'inizio alla fine con tutte le sue convinzioni.
Certo Kieren, grazie anche all'ottima interpretazione del sempre più bravo Luke Newberry (uno che prima di questa serie non riusciva quasi a lavorare e il cui ruolo più importante prima di essere chiamato per In the Flesh, è consistito in alcune scene poi tagliate nel ciclo di Harry Potter) si evolve, si dimostra più sicuro di sé stesso rispetto alle vicende della prima stagione, ma si mantiene fermo nel suo proposito di non far più del male a nessuno - e questo si dimostrerà in maniera evidente sopratutto nelle ultime puntate, quando il giovane si troverà costretto ad effettuare delle scelte.
La volontà di Mitchell si conferma quindi quella di voler mostrare con Kieren Walker un personaggio più umano degli stessi esseri umani, più vivo dentro di sé rispetto a tutti quanti gli altri, più vivo dentro ora che è morto di quanto siano molti altri da viventi.
Non a caso saranno le decisioni di Kieren a condizionare le mosse di tutti quanti gli altri.
Come molte altre serie In the Flesh può avere diverse chiavi di lettura, quelle più immediate ( non più superficiali, semplicemente più immediate ) ci parlano di un conflitto tra fazioni, quelle più profonde parlano di come esistano varie concezioni di normalità.
E che se invece di giudicare quello che non comprendiamo, ci sforzassimo di capire e rispettare gli altri, anzi"l'altro" magari riusciremo e a dare un senso ad un particolare momento della nostra vita ed al "nostro" di mondo.
Almeno per un poco.
Ma è già abbastanza.
Questo è ciò che cercano di compiere i personaggi di In the Flesh, anche se alla fine sia a Kieran che a Simon che a tutti gli altri non resterà altro che continuare ad inseguire il loro posto nel mondo. Alla ricerca di un equilibrio che diventa sempre più fragile.
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