In “The Water Diviner” Russell Crowe riscatta un’opaca prova registica con un’interpretazione ricca di pathos e amore

Creato il 28 febbraio 2015 da Giannig77

Ammetto di essermi apprestato alla visione dell’ultimo film di Russell Crowe (“The Water Diviner”), ieri sera proiettato al Cineforum che frequento, un po’ prevenuto. Il film era uscito nelle sale da un po’ e nel frattempo avevo collezionato tutta una serie di critiche non proprio benevole nei suoi confronti. Poi nei giorni scorsi, alle parole spesso taglienti dei recensori “di professione”, gente che scrive per Ciak, per intenderci, avevano fatto capolino anche giudizi nell’insieme poco lusinghieri anche da parte di diversi spettatori con cui condivido l’esperienza della rassegna cinematografica a Cerea.

Mettiamoci pure che non ero dell’umore giusto (condizione che, a posteriori, aveva inficiato sulla mia pessima opinione di “Storie pazzesche”, visto poche settimane prima) e direi che insomma vi erano più motivi per cui avrei rischiato di rimanere deluso.

Invece devo dire che Crowe (detto per inciso, uno degli attori che dal Gladiatore a Beautiful Mind ha saputo meglio incarnare il top degli ultimi 20 anni di cinema) nel complesso mi ha convinto, almeno per quanto riguarda il suo mestiere principale, quello di recitare. Impegnato infatti nella doppia mansione, ad essere penalizzata è risultata soprattutto la regia, sin troppo elementare e priva di guizzi, così come alcune scelte stilistiche (che in una storia come questa sarebbero calzate a pennello se ben congegnate), tipo i numerosi flashback, resi purtroppo in maniera scolastica.

L’altro appunto che mi sento di sottolineare è la scelta di “patinare” forse troppo luoghi e volti, considerando che il film rievocava i fatti della Grande Guerra, a cui caduti e dimenticati, è dedicato interamente.

Detto ciò, via via che la narrazione procede, entra prepotentemente in primo piano la cosa che più conta, quando vado a valutare una qualsiasi opera, che sia un film, un libro o un disco, vale a dire la storia. E qui Russell Crowe è stato bravo a trasmetterne tutta la grande forza e carica emotiva, incentrando la trama sulla ricerca spasmodica (e forse idealistica) di un padre che, a mò di promessa postuma intende intraprendere un viaggio transoceanico dall’Australia alla Turchia per riportare a casa quel che resta dei tre figli andati a combattere per l’Inghilterra contro ciò che restava della cultura ottomana.

Il film diventa un vero viaggio, una scoperta, un elogio sincero e autentico alla grandezza infinita che è riposto nel cuore di un genitore nei confronti dei propri figli. Non sarà ai livelli di alcuni capolavori di Crowe, questo no di certo, ma anche stavolta l’attore neozelandese ha saputo incarnare valori profondi e universali.


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