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In their Skin

Da Omonero

in-their-skinaka Replicas
CANADA 2012

cast: Selma Blair – Joshua Close – Quinn Lord – James D’Arcy – Rachel Miner – Alex Ferris
regia: Jeremy Power Regimbal
soggetto: Joshua Close
sceneggiatura: Joshua Close - Justin Tyler Close – Jeremy Power Regimbal
musica: Keith Power
durata: 95 min
INEDITO


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Gli Hughes sono una famiglia alla deriva. Dopo la morte accidentale della piccola Tess, le incomprensioni tra moglie e marito sono sottolineate dal dolore e dalla sensazione di vuoto per la perdita.
Mark (Joshua Close) il capofamiglia,  si sente in colpa per la tragedia e tende ad allontanarsi da Mary (Selma Blair) che, impaurita ed insicura, riversa eccessive attenzioni sul timido Brendon (Quinn Lord) il primogenito.
Nella speranza di rimettere insieme i pezzi Mark si trasferisce per qualche giorno con moglie e figlio in un cottage sperduto tra le foreste ereditato dal nonno; forse la solitudine ed il ritrovato contatto potranno aiutarli a concentrarsi su di loro e ritrovare un po’ di serenità.
C’è solo il tempo di disfare i bagagli e passare una prima, triste, notte privi degli scudi della quotidianità, poi arrivano i Sakowski
REPLICAS
Strana gente, i Sakowski. Bobby (James D’Arcy), l’uomo di casa, si presenta come un timido nevrotico, goffo ed eccessivamente ossequioso e condiscendente; mentre Jane (Rachel Miner), la moglie, appare come una stordita ed infantile bambolina timorata ed incerta. E poi c’è Jared (Alex Ferris) un ragazzone dallo sguardo furbo che dimostra decisamente più dei 9 anni di vita che dichiara.
Mark e Mary non sono entusiasti della presenza un po’ invadente  di quegli stralunati vicini di casa ma, forse per non passare altre ore d’imbarazzata convivenza, alla fine i due si lasciano incastrare dal meccanismo delle cortesie forzate dettate dalle regole del buon vicinato e dell’immancabile invito a cena con persone sempre più inopportune e morbosamente curiose del loro privato. Da tutto questo non ne uscirà niente di buono.
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Il film produce sensazioni contrastanti. Gli attori sono tutti di buon calibro, la location è suggestiva e l’azzardo di allargare ad un nucleo familiare l’idea già sfruttata del maniaco che ruba l’identità della vittima era calibrata in modo che potesse funzionare alla grande ma, alla fine, tutte le tensioni, le potenzialità e la violenza repressa caricate nella storia come polvere da sparo in una spingarda non producono che l’esplosione di un petardo.
Dallo sfogo (e le motivazioni di rito) di  Bob, che si possono sintetizzare nella sua affermazione: “in fondo non è importante ciò che siamo, ma quello che gli altri pensano che siamo“, la storia perde qualche colpo. Ci si aspetta di più da quella famiglia di folli disperati in cerca d’identità e soprattutto ci si aspetta meno prevedibilità da Bobby.
A caldo il meccanismo sembra reggere, coadiuvato dalla quasi totale assenza di colonna sonora (ad esclusione dell’inquietante theme al pianoforte) che creano una patina di realtà quotidiana, ma ripensandoci escono fuori delle forzature nella trama e piccole, fastidiose incongruenze che non giovano al risultato finale; tipo: “che fine ha fatto realmente Harris, il cane di famiglia?” o “come ha catturato Bob il centometrista Mark in fuga nella foresta?” e poi c’è il mistero del coltello che scompare e riappare nei vestiti tolti e rimessi di Mary.
In soldoni, l’esordiente Power Regimbal non ha saputo sfruttare le diverse opportunità che poteva offrire la storia, che rimane comunque un onesto thriller psicologico…come tanti.

corvi06
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Archiviato in:CINEMA, INEDITI Tagged: bad family, casa dolce casa, oltre la follia, psychorror, thriller

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