"In time" è un film non riuscito. Niccol fa tutto da solo, ed oltre a dirigerlo, di per sè un compito già oneroso, lo scrive e lo produce. Troppe cose da fare possono generare confusione, fraintendimenti. Affezionato agli scenari fantapolitici, la visionarietà del regista è abituata a mettersi in gioco allestendo meccanismi di genere solitamente pescati dal cinema noir ("Gattaga",1997) e utilizzando l'espediente romantico, in questo caso c'è una donna da salvare, per riscaldare atmosfere anaffettive, enfatizzate da una fotografia che sembra uscire direttamente da una camera d'obitorio. Rispetto all'esordio a cui quest'ultimo si rifà non solo per la cornice futuristica ma anche per la centralità del fattore genetico (nel film l'umanità ha un autonomia di 25 anni che può essere allungata acquistando dosi di tempo) "In time" non riesce ad amalgamare le sue componenti. Estremizzare le contraddizioni della contemporaneità in un contenitore capace di accellerarne le possibili conseguenze era la sfida che si era posto il regista. La vicenda, nel tentativo di ristabilire la giustizia in un mondo dove il tempo ha sostituito il denaro ed in cui le disparità sociali sono create ad arte per alimentare i vantaggi di pochi, assume la forma di una versione futuristica di Bonnie and Clyde ma anche di Robin Hodd, con Will (Justin Timberlake) e Sylvia (Amanda Seyfried) uniti nell'impresa di rovesciare il sistema rubando il tempo per regalarlo a chi non ne ha. L'escalation dell'imprendibile coppia non solo è costellata da una serie di errori di sceneggiatura (quelli più gravi si riferiscono proprio ai dettagli temporali violati con una facilità addirittura imbarazzante) e di molte situazioni inverosimili - la trama tra le altre cose non spiega come due super ricercati possano spostarsi liberamente per una città che assomiglia ad una caserma - ma appare fuori dal contesto che Niccol cerca di descrivere, una didascalica allegoria (passata al pubblico con l'espediente delle breaking news di cui zelanti televisori non mancano di informarci) del nostro tempo dove i cattivi sono però incapaci di esprimere le ragioni del loro operato, e quasi evanescenti nella difesa dello status quo. Il film appare così sfilacciato e superficiale nella costruzione dei nessi logici che dovrebbero tenerlo insieme. E se gli attori riescono ad essere un minimo convincenti, anche Timberlake una volta tanto, il loro lavoro si perde nella pochezza del contesto. Non ci voleva certo "In Time" per sapere che è solo l'egoismo di pochi ad impedire una giusta ripartizione delle risorse. Sentirselo ripetere appare non solo beffardo ma fa sembrare il film ormai sorpassato. Quasi un paradosso per chi invece vuole il tempo voleva anticiparlo.
"In time" è un film non riuscito. Niccol fa tutto da solo, ed oltre a dirigerlo, di per sè un compito già oneroso, lo scrive e lo produce. Troppe cose da fare possono generare confusione, fraintendimenti. Affezionato agli scenari fantapolitici, la visionarietà del regista è abituata a mettersi in gioco allestendo meccanismi di genere solitamente pescati dal cinema noir ("Gattaga",1997) e utilizzando l'espediente romantico, in questo caso c'è una donna da salvare, per riscaldare atmosfere anaffettive, enfatizzate da una fotografia che sembra uscire direttamente da una camera d'obitorio. Rispetto all'esordio a cui quest'ultimo si rifà non solo per la cornice futuristica ma anche per la centralità del fattore genetico (nel film l'umanità ha un autonomia di 25 anni che può essere allungata acquistando dosi di tempo) "In time" non riesce ad amalgamare le sue componenti. Estremizzare le contraddizioni della contemporaneità in un contenitore capace di accellerarne le possibili conseguenze era la sfida che si era posto il regista. La vicenda, nel tentativo di ristabilire la giustizia in un mondo dove il tempo ha sostituito il denaro ed in cui le disparità sociali sono create ad arte per alimentare i vantaggi di pochi, assume la forma di una versione futuristica di Bonnie and Clyde ma anche di Robin Hodd, con Will (Justin Timberlake) e Sylvia (Amanda Seyfried) uniti nell'impresa di rovesciare il sistema rubando il tempo per regalarlo a chi non ne ha. L'escalation dell'imprendibile coppia non solo è costellata da una serie di errori di sceneggiatura (quelli più gravi si riferiscono proprio ai dettagli temporali violati con una facilità addirittura imbarazzante) e di molte situazioni inverosimili - la trama tra le altre cose non spiega come due super ricercati possano spostarsi liberamente per una città che assomiglia ad una caserma - ma appare fuori dal contesto che Niccol cerca di descrivere, una didascalica allegoria (passata al pubblico con l'espediente delle breaking news di cui zelanti televisori non mancano di informarci) del nostro tempo dove i cattivi sono però incapaci di esprimere le ragioni del loro operato, e quasi evanescenti nella difesa dello status quo. Il film appare così sfilacciato e superficiale nella costruzione dei nessi logici che dovrebbero tenerlo insieme. E se gli attori riescono ad essere un minimo convincenti, anche Timberlake una volta tanto, il loro lavoro si perde nella pochezza del contesto. Non ci voleva certo "In Time" per sapere che è solo l'egoismo di pochi ad impedire una giusta ripartizione delle risorse. Sentirselo ripetere appare non solo beffardo ma fa sembrare il film ormai sorpassato. Quasi un paradosso per chi invece vuole il tempo voleva anticiparlo.
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