Di depistaggi infatti “In Trance” ne allestisce sterminati: mischia le carte sul genere, sulle figure dei personaggi e perfino sulla percezione che divide il concreto e l'astratto e il sogno dalla realtà. Principalmente un thriller psicologico che si nutre dei piani narrativi multipli stimolati dall'ipnotista Rosario Dawson, chiamata in causa per far tornare la memoria all'impiegato James McAvoy, piombato in conflitto con il criminale Vincent Cassel al quale ha tolto da sotto il naso la refurtiva di un quadro preziosissimo di cui, a causa di un colpo alla testa, non riesce più a ricordare il nascondiglio. In pratica però, nel suo imbrogliarsi ed imbrogliare, la pellicola cerca anche di allentare la presa e bilanciare la controversia dirigendosi verso i labirinti ambigui e tortuosi del triangolo amoroso, offrendo, si, un memorabile nudo integrale di Rosario Dawson, ma inquinando ulteriormente un canovaccio di per sé già scombinato, annaspante e innescato per detonare ulteriori (nocivi) rovesciamenti lungo il cammino.
Ciò nonostante è troppo tardi ormai per spostare l’asticella di gradimento sul versante positivo, e così, il remake dell'omonimo film televisivo datato 2001 si riduce per Danny Boyle a poco più di un esercizio defaticante volto a non perdere contatto con la forma che lo contraddistingue. Il dubbio che ad essere finito sotto ipnosi sia stato lui dunque sorge spontaneo, a meno che il torpore post “127 Ore” non sia lungo oltre il previsto. Pazientando il riscatto, comunque, noi scegliamo di attribuire il passo falso al suo subconscio: l’unico capace di giocare dei brutti scherzi come questo.
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