Due terzi del trittico siciliano, i più noti. “Divorzio all’italiana” e “ Sedotta e abbandonata”sono due modelli esemplari di commedia all’italiana, con una vena di cinismo acuto, che gironzola incessantemente nei dialoghi e nella altezzosità di una recitazione esasperata, definendo una forma di barocco cinematografico parossistica, anche nelle immagini, che, grazie all’ottima fotografia, hanno il fasto e l’ampollosità di palazzi, di chiese, di strade, di visi di donna sgraziati, ciglia folte, esseri che popolano il volgo. Diceva Germi, gli Italiani sono Siciliani, rispetto al resto del mondo, i Siciliani lo sono due volte. Lo scorcio che ne deriva è quasi antitetico e i film sembrano strettamente legati da un’antifrasi di sceneggiatura, come se fossero non solo episodi di una stessa trilogia, ma un film unico, diviso in due episodi. “Sedotta e abbandonata” è tanto divertente quanto mostruoso: le bocche spalancate, i primissimi piani che seguono ogni emozione, soprattutto le più negative, la sovraccarica scelta di sequenze narrative che si sovrappongono, arrivando allo scioglimento finale, con un clamore esagitato, momenti tra il truce ed un “cannibalismo” indicibile, in una società maschilista, tra codice d’onore, padre padrone e codice civile (Germi è così lucido che amalgama i tre elementi, arrivando ad un’atmosfera di estraniazione umana, si pensi alla scena, agghiacciante, davanti al magistrato). “Divorzio all’italiana” ha una forma meno gridata, all’apparenza, complice la compostezza di un monumentale Mastrioanni, compreso i tic, gli accompagnamenti di macchina molto garbati, e l’espediente delle ripetute fantasie aggrovigliate del protagonista, in contrasto con i moti bruti del carattere di Salvo Urzì. Trovare l’anello di congiunzione tra i due film, indipendentemente dalla forma, piuttosto diversa anche per l’appartenenza a classi sociali non collimanti, e dal contenuto, che richiama in causa motivi culturali ed indigeni, è la struttura narrativa: “Sedotta e abbandonata” parte con le prospettive peggiori, gli esiti sembrano già scritti, ma, pian piano, con delle trovate repentine (la ragazza che si reca al commissariato, per esempio) conduce ad un nulla di fatto, in termini di forza bruta, “Divorzio all’italiana” non ha momenti di furore indicibile né grandi scene sprezzanti (l’omicidio avviene dietro una rupe), ma cova, sotto un vetro di piattezza, un progredire della carica di violenza, che raggiunge il culmine alla fine. L’arditezza di Germi è sottolineata dall’accostamento di due film interscambiali, e che, come anello di congiunzione, vedono la presenza di Stefania Sandrelli, che matura dalla giovane studentessa che fa il piedino all’uomo appena sposato alla ragazza compromessa di una famiglia borghese e patronale tesa a conservare una dignità pubblica, perdendo del tutto il rispetto per la dignità umana. Landro Buzzanca è irresistibile in “Sedotta e abbandonata”, un misto di caricatura e realtà con un’espressività molto convincente, e in questo film ci si compiace della solita bravura di Leopoldo Trieste, un nobile rampante decaduto. Ciò che colpisce è l’umore della gente, il chiacchierio ed il vociare continuo, dalla risata allo sbeffeggiamento all’offesa gratuita. “Divorzio all’italiana” è , invece, raggelante nell’accoglienza calorosa per chi ha salvato l’onorabilità della famiglia con un delitto. Ispirati a fatti di cronaca, si inseriscono tra la commedia e il dramma sotteso, senza mancare di una portentosa critica sociale.
Due terzi del trittico siciliano, i più noti. “Divorzio all’italiana” e “ Sedotta e abbandonata”sono due modelli esemplari di commedia all’italiana, con una vena di cinismo acuto, che gironzola incessantemente nei dialoghi e nella altezzosità di una recitazione esasperata, definendo una forma di barocco cinematografico parossistica, anche nelle immagini, che, grazie all’ottima fotografia, hanno il fasto e l’ampollosità di palazzi, di chiese, di strade, di visi di donna sgraziati, ciglia folte, esseri che popolano il volgo. Diceva Germi, gli Italiani sono Siciliani, rispetto al resto del mondo, i Siciliani lo sono due volte. Lo scorcio che ne deriva è quasi antitetico e i film sembrano strettamente legati da un’antifrasi di sceneggiatura, come se fossero non solo episodi di una stessa trilogia, ma un film unico, diviso in due episodi. “Sedotta e abbandonata” è tanto divertente quanto mostruoso: le bocche spalancate, i primissimi piani che seguono ogni emozione, soprattutto le più negative, la sovraccarica scelta di sequenze narrative che si sovrappongono, arrivando allo scioglimento finale, con un clamore esagitato, momenti tra il truce ed un “cannibalismo” indicibile, in una società maschilista, tra codice d’onore, padre padrone e codice civile (Germi è così lucido che amalgama i tre elementi, arrivando ad un’atmosfera di estraniazione umana, si pensi alla scena, agghiacciante, davanti al magistrato). “Divorzio all’italiana” ha una forma meno gridata, all’apparenza, complice la compostezza di un monumentale Mastrioanni, compreso i tic, gli accompagnamenti di macchina molto garbati, e l’espediente delle ripetute fantasie aggrovigliate del protagonista, in contrasto con i moti bruti del carattere di Salvo Urzì. Trovare l’anello di congiunzione tra i due film, indipendentemente dalla forma, piuttosto diversa anche per l’appartenenza a classi sociali non collimanti, e dal contenuto, che richiama in causa motivi culturali ed indigeni, è la struttura narrativa: “Sedotta e abbandonata” parte con le prospettive peggiori, gli esiti sembrano già scritti, ma, pian piano, con delle trovate repentine (la ragazza che si reca al commissariato, per esempio) conduce ad un nulla di fatto, in termini di forza bruta, “Divorzio all’italiana” non ha momenti di furore indicibile né grandi scene sprezzanti (l’omicidio avviene dietro una rupe), ma cova, sotto un vetro di piattezza, un progredire della carica di violenza, che raggiunge il culmine alla fine. L’arditezza di Germi è sottolineata dall’accostamento di due film interscambiali, e che, come anello di congiunzione, vedono la presenza di Stefania Sandrelli, che matura dalla giovane studentessa che fa il piedino all’uomo appena sposato alla ragazza compromessa di una famiglia borghese e patronale tesa a conservare una dignità pubblica, perdendo del tutto il rispetto per la dignità umana. Landro Buzzanca è irresistibile in “Sedotta e abbandonata”, un misto di caricatura e realtà con un’espressività molto convincente, e in questo film ci si compiace della solita bravura di Leopoldo Trieste, un nobile rampante decaduto. Ciò che colpisce è l’umore della gente, il chiacchierio ed il vociare continuo, dalla risata allo sbeffeggiamento all’offesa gratuita. “Divorzio all’italiana” è , invece, raggelante nell’accoglienza calorosa per chi ha salvato l’onorabilità della famiglia con un delitto. Ispirati a fatti di cronaca, si inseriscono tra la commedia e il dramma sotteso, senza mancare di una portentosa critica sociale.
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