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"The Reader" di Stephen Daldry è un melò intenso e ispirato che pecca in un gusto marcato alla provocazione fine a sè stessa, sbilanciandosi, con coraggio, ma senza risultati degni di nota, tra due storie chiuse in sè, due film in un unicum cinematografico.
"The reader" con l'Olocausto ha poco a che vedere. Probabilmente, elimitati i resoconti delle donne superstiti, e l'ultima ruffiana sequenza di "restituzione", nulla. Il primo "scandalo" sta nell'assunto, nella rilettura, nella sproporzione tra elemento storico e personale. Non più sofferenza esibita, aberrante, mostruosa, ma solo parole, verbali, luoghi desolati, fotografie, ricostruzioni. Non più scheletri umani, ma scheletri nell'armadio. Non più la prospettiva di una vittima, ma quella di un carnefice, a cui affidare parole di fuoco, senza significato apparente e che invece nascondono il vero motivo del film. Cosa resta di un uomo, nonostante la giustizia "spettacolo", quando viene estirpato dalla sua terra? Niente. Ed è questa la risposta di Hanna Schmitz. Nichilismo puro. E dove finisce il confine tra umanità e disumanità, tra legge scritta e diritto naturale? Il vero tema è questo, mascherato da altro. La vera provocazione non riuscita è quella della storia d'amore che non acquista il trasporto necessario nel finale e si perde nella pura e fredda malinconia, dopo un inizio promettente anche se banale nel riproporre l'elemento di "formazione al sesso" tipico di un cinema europeo vecchio e morboso. Il problema è la contrapposizione illogica, livellata tra il prima e il dopo. La pellicola si divide in due: storia d'amore e storia di colpa, con i personaggi che ritornano. Il vero peccato è che, dati i livelli temporali (peraltro non credibili) mutevoli, entrambe le tematiche invece di interagire si chiudono a riccio, diventando indigeste, poco empatiche (è la recitazione che le salva). Troppa carne al fuoco in un film che rinchiude due film senza saperne focalizzare bene nessuno. Il testo di Bernhard Schlink è difficile da mettere in quadro e l'adattamento risente del montaggio semplice e per nulla incisivo. Manca il lavoro della regia (credo che manchi proprio uno stile riconoscibile e Daldry è un mestierante, io avrei pensato alle grandi architetture di sceneggiatura di Fincher), mentre tutto il resto, dalla fotografia alle interpretazioni è parzialmente azzeccato. Certo non avrei premiato la Winslet con l'Oscar per questa interpretazione, nè considero riuscita la prova di Fiennes, così come non eccelso ma positivo il lavoro del giovane David Kross, ma la ricostruzione è encomiabile. "The Reader" fa flop quando l'elemento storico e quello individuale si toccano senza compenetrarsi e perdono la loro valenza di necessità reciproca. Buono il passo in avanti della riduzione dell'Olocausto a sfondo, ma le due linee, quella romantica e quella storica, non trovano un raccordo adeguato.
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