Magazine Società
Qualche sera fa, Rainews ha mandato in onda il film del documentarista francese Mosco Levi Boucault, dal titolo: «Erano le Brigate Rosse", uscito nel 2011. A parlare sono stati alcuni protagonisti del gruppo terroristico, dalla nascita al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro e dei cinque uomini della sua scorta. Sullo sfondo la voce narrante che personificava il punto di vista di chi si collocava a sinistra negli anni sessanta-settanta, e osservava le vicende delle "Brigate Rosse" prendendone le distanze e condannandone l'uso della violenza omicida, ma che era comunque cosciente che quelle persone, come aveva già coraggiosamente notato Rossana Rossanda in un articolo apparso sul Manifesto nel pieno del sequestro Moro, provenivano dallo stesso album di famiglia. L'aspetto che più ha colpito del documentario, è stato il modo con il quale gli ex terroristi hanno narrato i fatti, la freddezza e il distacco della descrizione dei preparativi del sequestro di Aldo Moro, il fatto, aberrante, che li portava a vedere in Moro come nelle altre loro vittime non delle persone, ma dei simboli da abbattere, il tutto giustificato dal "combattere una guerra", e che come in tutte le guerre ci potessero essere dei morti, da una "parte" e dall' "altra". E' stato davvero impressionante riascoltare dalla viva voce dei brigatisti le tesi propagandate nei loro famigerati comunicati emessi nel corso del sequestro Moro. Ma la cosa ancora più devastante, è stato l'apprendere che questi ex terroristi (almeno quelli intervistati nel documentario), in tutti questi anni, non siano mai stati sfiorati dal dubbio di aver intrapreso una strada sbagliata. Nemmeno il minimo dubbio, questa è stata l'impressione che più che dalle parole, è stata rilasciata dai volti, dal modo di parlare, di gesticolare, dall'assenza di un pensiero rivolto alle vittime e alle loro famiglie.
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