
E lo dice uno che avrebbe molti motivi per gioire della fine del regime, che non aveva la mano tenera con chi era sospettato di essere un integralista.Poi, senza preavviso, alza il vestito e mi mostra le cicatrici che ha sulle gambe, ricordo delle torture della polizia. Sono i segni degli accendisigari. Mi racconta, soprattutto a gesti, che lo hanno portato nei sotterranei del ministero degli interni a Tunisi (“là sotto c’era un odore terribile”), lo hanno appeso per le mani e picchiato giorno e notte, per una settimana. Interviene anche Nabil, il fratello di Monia, il quale mi racconta che il barbuto era talmente controllato che anche al suo matrimonio c’erano i poliziotti a sorvegliarlo. Nabil andò a prenderlo per portarlo ad una delle feste del matrimonio stesso, e la polizia li fermò “Ma non hanno mai trovato niente, perché io non facevo niente…”.Il fatto dei controlli meno severi da parte dello stato è un discorso che ritorna nei discorsi delle persone, in effetti. Lo dice sia chi rimpiange il regime precedente, sia chi appoggia il cambiamento. Però il concetto di “controllo severo” è sempre questione di punti di vista, perché invece io resto colpito dal fatto che qui in banca si entra come in un qualsiasi negozio, che le porte delle gioiellerie sono aperte, che il traffico è una bolgia, quello si che è senza controllo, ma in questo nulla è cambiato.






