Jannis Kounellis, Senza titolo, 2002, La Marrana, Montemarcello,
La Spezia
Per una nuova antropologia della natura?, Jean-Marc Besse
Una strada nel bosco. Per una misura del luogo e della comunità, Domenico Luciani
Beni comuni. Oltre l’opposizione natura/cultura, Maria Rosaria Marella
Dialoghi sugli alberi, Joseph Beuys in conversazione con Bernhard Blume e Rainer Rappman
Disboscamenti. Dalla radura al libero mercato, Dario Gentili
Luce al Silenzio, Silenzio alla Luce, Louis I. Kahn
Il Bill di città e il Bill di campagna, George Blecher
Nel bosco di facebook, Franco Arminio
La magia e lo spirito del bosco, Carmen Añón
Il bosco era ancora lì, José Tito Rojo
Elogio della biodiversità. Il Bosco difesa di Sant’Antonio, Aurelio Manzi
Gli alberi di una vita. Piccola storia di una grande battaglia, Immacolata Rainaldi
La rosa soprannaturale, Pierre Louÿs
Varie ragioni per dipingere gli alberi, Yves Bonnefoy
Gli alberi di Yves Bonnefoy, Fabio Scotto
Il giardinaggio come operazione filosofica, Rosario Assunto
Tra bosco e giardino, Mariella Zoppi
Bernard Palissy. Il giardino utopico e il bosco naturale, Anna Zoppellari
Della lodevole arte di piantar alberi, Bernard Palissy
L’arte si rivela nel bosco, Aldo Iori
I libri a cura di
Dario Gentili, Marina Gersony, Andre Gorra Aguirre, Elettra Stimilli
Cari amici,
sta per uscire in libreria il n. 113 di L.I., frutto della collaborazione editoriale tra la nostra rivista e la Fondazione Benetton Studi Ricerche che, nel 1990, ha istituito il Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino per promuovere ogni anno «una campagna di attenzioni verso un luogo particolarmente denso di valori di natura, di memoria e di invenzione».
Nel 2012, il Premio è stato attribuito al Bosco di Sant’Antonio che, da secoli, è il punto di riferimento ambientale, politico, economico, culturale e sentimentale della comunità di Pescocostanzo, in Abruzzo. Un piccolo bosco che ha ispirato e continua a suscitare grandi passioni e battaglie straordinarie per la sua tutela – per la sua cura.
Dunque, il nostro tema è il bosco, tra natura e cultura, che non può fare a meno dell’uomo e di cui l’uomo non può fare a meno, grande metafora che sussume una serie infinita di questioni, attuali e trasversali. A cominciare dalla tutela della bio-diversità, scelta politica, che significa riconoscere nell’altro – umano, animale o vegetale –, parafrasando Wilhelm von Humboldt, lo “straniero da sé” e non l’“estraneo”, perché straniero è ciò che suscita curiosità e simpatia, estraneo ciò che spaventa e allontana.
Perciò essendo la vecchia opposizione tra Natura e Cultura ormai priva di senso, dobbiamo prendere atto che la sola vera chance che abbiamo, come abitanti di questo pianeta, è la costruzione di una seria “antropologia della natura”. Non è un ossimoro, ma di un modo provocatorio per dire che è necessario istituire una nuova alleanza tra natura e cultura, perché ormai possiamo intendere la natura solo come un elemento della cultura.
L’uomo infatti non “fa natura”: quello che sa fare, bene o male, è “paesaggio” che è somma di natura, memoria e invenzione, stratificazione di tracce, di camminamenti che si dimenticano e si ritrovano – non c’è “paesaggio” nella foresta amazzonica, né fra i ghiacci dell’Antartide. Ma quando quelle tracce, quei camminamenti diventano calpestamenti, oltraggi, forme di antropizzazione indiscriminata e “bio-omologata” a standard dettati dall’interesse economico, dalle ideologie, o talvolta da mode, qualche problema si pone. A quel punto può essere utile ricordare lo «spazio odologico» (dal greco hodós, “via”, “percorso”) di Kurt Lewin: quello spazio potenziale di movimento che contiene percorsi preferenziali che rappresentano un compromesso tra esigenze diverse – «distanza breve, sicurezza, lavoro minimo, esperienza massima» – determinate dalle condizioni topologiche. Lo spazio odologico è fisico, ma anche affettivo, e soprattutto etico e consapevole; è il passaggio dell’essere umano sempre uguale e sempre diverso, ma che deve disegnare un’esistenza sostenibile da tutti i punti di vista; è la cultura della natura.
Quindi, “antropologia della natura” vuol dire boschi, acque, campagne, montagne, ma anche città, musei, teatri, biblioteche, archivi, scuole, università – che sono tutti “beni comuni”, al di là della distinzione, da superare, tra pubblico e privato. Ma a chi tocca governare i beni comuni? Ricordiamo che chi governa è chiunque sia operativo, chiunque si assuma una responsabilità. Ciò apre nuove possibilità di intervento per tutti noi, proprio mentre la globalizzazione, ovunque, cerca di negare la bio-diversità nostra e dei nostri luoghi, fermo restando che non esiste bio-diversità più degna di altre di essere tutelata. Però, la globalizzazione dei media può tornare utile nel portare all’attenzione esperienze particolari di governo che possono rivelarsi efficaci anche da noi. Tocca a noi decidere se vogliamo entrare nel grande arcipelago del comune, oppure se restare sordi e addormentati.
Ricordiamo a tutti i nostri amici e ai nostri lettori che questo numero è dedicato al nostro fondatore e direttore fino al maggio del 2009, Federico Coen scomparso il 6 luglio scorso.
Buona lettura a tutti,
la Redazione