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C'è un rituale inderogabile se si va in montagna con un gruppo di svizzeri. Quando si arriva alla cima - che sia con sci e pelli, corda e ramponi o semplicemente camminando - inizia la lunga lista dei picchi che compongono il paesaggio. C'è di solito l'esperto assoluto che sembra studiare nomi e posizione topografica giorno e notte e riconosce le montagne da ogni angolo. E si procede come in una cantilena: Sustenhorn, Tschingelhorn, Urirotstock, Piz Kelsch, Titlis, Matterhorn, Eigis, Jungfrau, Rigi, etcetera, etcetera.
Devo ammettere che, nonostante i miei sforzi, non ne riconosco mai una. Le montagne cambiano totalmente aspetto se le si vede da prospettive diverse, con o senza neve, con o senza il sole.
Ma la cantilena non si fa tanto per sfoggio di competenze. La cantilena è una canzone d'amore. Ogni parola nasconde una storia individuale e ogni montagna ha la sua personalità, come se si trattasse di persone. E arrivare alla cima non è un atto di conquista, quanto piuttosto un modo per onorare vecchi saggi che ti circondano a perdita d'occhio.