Quando si parla di viaggi nel tempo si finisce sempre per accompagnare il discorso con un sorrisino ironico. Facile capire che dietro a questa smorfia si celi l'esplicita volontà di ridicolizzare un argomento che definire utopico sarebbe un eufemismo. Eppure il tema è tutt'altro che banale: ci sono scienziati che dedicano l'intera carriera per comprendere i meccanismi che un domani potranno permetterci di muoverci nel passato e nel futuro. Il discorso è stato ripreso pochissimo tempo fa anche da uno dei massimi fisici di tutti i tempi, Stephen Hawking, il quale rivela, senza mezze misure, che «viaggiare nel tempo si può». Ma come? Partendo da una nuova branca della fisica che prende il nome di geometrodinamica quantistica. Si rifà alla meccanica quantistica, sorta nella prima metà del Ventesimo secolo per supplire all'inadeguatezza della fisica classica rivolta a temi particolari come l'effetto Compton, concernente l'urto fra un fotone e un elettrone. Raggruppa varie teorie che descrivono il comportamento della materia a livello microscopico, a scale di lunghezza inferiori addirittura a quelle dell'atomo. «Scendendo al livello della più piccola delle scale, più piccola addirittura delle molecole e degli atomi, si arriva a un luogo chiamato “schiuma quantistica”, al limite del conoscibile», spiega Hawking. «E sarebbe proprio questo il luogo dove si viaggia nel tempo, all'interno di minuscole gallerie e scorciatoie attraverso lo spazio e il tempo». Oggi, queste minuscole e impercettibili realtà, sono inutilizzabili dall'uomo, tuttavia un giorno non è escluso che sarà proprio partendo da esse che si finirà per viaggiare nel tempo. «L’idea centrale è l’estensione dello spazio-tempo ‘liscio’ di Einstein mediante termini di fluttuazione che tengano conto degli aspetti “frastagliati” dovuti alla funzione d’onda della fisica quantistica», precisa Ignazio Licata, fisico teorico, direttore dell'Institute for Scientific Methodology di Palermo. «In questo ambito si può verosimilmente ipotizzare un effetto tunnel che possa far passare un oggetto da una regione all’altra dello spazio-tempo». Il termine “schiuma quantistica” è stato introdotto per la prima volta da John Archibald Wheeler, ex professore di fisica presso la Princeton University. Si riferisce a una “dimensione” riscontrabile a livello ultramicroscopico, al di sotto della cosiddetta scala di Planck. In questa sede il campo gravitazionale diviene “irregolare e turbolento”, mentre spazio e tempo assumono una forma “granulare”. La schiuma contiene mini buchi neri, dove le nozioni di destra e sinistra, avanti e indietro, sopra e sotto, e perfino prima e dopo perdono ogni significato. È qui che si riscontra l'incompatibilità di fondo fra relatività generale e meccanica di quanti, in relazione alla cosiddetta “geometria spaziale regolare” che a scale molto piccole, perde il suo significato originale a causa di violenti fluttuazioni di natura quantistica. Sposa la tesi di Hawking Brian Cox, professore della Manchester University e presentatore del programma Wonders of the Solar System in onda sulla BBC: «È già noto dagli acceleratori di particelle che il tempo rallenta per gli oggetti che si muovono ad alte velocità», spiega lo scienziato. «Quando portiamo una piccola particella al 99.99% della velocità della luce nel LHC (Large Hadron Collider) del Cern di Ginevra, il tempo che sperimenta è solo una frazione del nostro, un sette millesimo. Se costruissimo un'astronave abbastanza veloce, potrebbe raggiungere molte altre stelle già durante la vita del suo equipaggio, ma sulla Terra sarebbero trascorsi intanto due miliardi e mezzo di anni».
La possibilità di viaggiare nel tempo, però, non è solo appannaggio dell'infinitamente piccolo, anzi, è soprattutto nei grandi spazi siderali che si dovrebbe andare a cercare il luogo ideale dove sfidare il trascorrere delle ore. La relatività ristretta spiega che lo scorrere del tempo è differente per osservatori che siano in moto l'uno rispetto all'altro; da ciò si deduce che tutto dipende dalla velocità. Al di sotto della velocità della luce esistono corpi dotati di massa superiore a zero, che possono muoversi avanti e indietro nello spazio, ma non nel tempo. Un corpo con massa superiore a quella del fotone non può raggiungere la velocità della luce, perché tutta l'energia fornita per accelerare un corpo si trasforma in materia, diminuendo il risultato della relazione fra spazio e tempo (ricordandoci empiricamente che la velocità v, corrisponde al rapporto fra spazio s e tempo t). Alla velocità della luce, però, spazio e tempo si annullano, e dunque il fotone dotato di massa nulla può muoversi a 300mila chilometri al secondo indipendentemente dal tempo. Per capire meglio il concetto si fa riferimento a un orologio che, spostandosi alla velocità della luce, continua a segnare lo stesso orario: le lancette dell'orologio, in pratica, battono “ovunque”, calate in un eterno presente. Ma se un oggetto, un uomo, una navicella, viaggiassero a velocità superiori a quelle della luce cosa accadrebbe? In questi casi si avrebbero ancora corpi che si muovono in uno spazio nullo, come accade ai fotoni, ma in un tempo “invertito”. La fisica ha dato un nome all'ipotetica particella in grado di superare simili velocità: tachione. La sua successione temporale va dal futuro al passato, facendo sì che le conseguenze di un'azione precedano la causa generante. Anche il secondo principio della termodinamica – strettamente dipendente dalla freccia del tempo - perderebbe di significato: un uovo rotto potrebbe, quindi, ricompattarsi sfidando le leggi dettate dall'entropia, grandezza che misura il “disordine” di un certo sistema fisico. Da qui si possono, dunque, avanzare le fantasie più assurde, compresa quella relativa al ritorno in vita di un cadavere, che ringiovanirebbe fino a ritrovarsi felice e beato a galleggiare nell'amnios materno. Chi si occupa di fantascienza sguazza in queste bonarie farneticazioni, tuttavia è la stessa relatività einsteniana a non escludere la possibilità di poter superare la velocità della luce. «Per oggetti di massa ordinaria, la spesa energetica necessaria per accelerarli a velocità vicine a c è proibitiva», rivela Licata. «Con le particelle, invece, questo avviene normalmente nei grandi centri di ricerca. Per ciò che riguarda il tachione, il riferimento è a un oggetto già nato al di là della barriera della velocità della luce e descritto dalla cosiddetta “relatività estesa”». A noi, però, interessa soprattutto il mondo infraluminale, vale a dire quello inerente la nostra quotidianità, ben lontana dalle velocità fotoniche. In questo caso sappiamo dalla fisica classica che il tempo rallenta all'interno di un sistema di riferimento in movimento. Più un oggetto si sposta velocemente rispetto a un altro, più il tempo per il primo oggetto passa lentamente se confrontato con il tempo del secondo. Un esempio pratico può essere fornito ponendo due orologi perfettamente sincronizzati in due posti diversi: la fusoliera di un aereo in volo e il polso di un soggetto immobile su una spiaggia a prendere il sole. Si verificherebbe una discrepanza temporale, poiché l'orologio “volante” viaggerebbe con qualche frazione di secondo di ritardo rispetto all'orologio “terrestre”; in pratica per il primo orologio il tempo passerebbe più lentamente. Dunque si ricava che, più si viaggia velocemente, più è possibile risparmiare secondi, minuti, ore, ed esasperando il concetto, secoli e millenni. Risultato: in un buco nero corpo celeste caratterizzato da un campo gravitazionale così potente da inglobare anche la luce, potremmo realmente viaggiare nel futuro. Oggetti di questo tipo sono contraddistinti da una superficie ideale, sferica, detta “l'orizzonte degli eventi”, il cui raggio è determinato dalla relazione fra massa, costante di gravità universale e velocità della luce. Immaginando di intraprendere un viaggio nel cuore del buco nero, scopriremmo che a un certo punto spazio e tempo perderebbero la loro autonomia, scambiandosi di ruolo. Hawking è andato più in là, calcolando ciò che potrebbe realmente accadere a bordo di una navicella interstellare: «Per chi si trova sulla navicella il tempo sarebbe rallentato, per ogni orbita di 16 minuti, avrebbe solo l'esperienza di otto minuti di tempo», rivela il fisico americano. «Viaggiare nel tempo sarebbe, dunque, possibile, a patto che si trovi un modo per rompere il continuum spazio-temporale, ipotesi del tutto verosimile perché contemplata proprio dalla Relatività generale». In generale, supponendo di partire dalla Terra per le profondità del cosmo, si può stimare di viaggiare a un miliardo di chilometri all'ora: un giorno a bordo dell'astronave corrisponderebbe a un anno sulla Terra, e nell’arco di soli ottanta anni il mezzo arriverebbe ai confini della galassia. Ma potremmo mai raggiungere simili velocità? «Non c'è nulla che lo vieti, è solo un problema di costi», spiega Paul Davis, cosmologo americano, ex professore di Cambridge. «Per accelerare un carico di 10 tonnellate al 99,9 per cento della velocità della luce sono necessari dieci miliardi di miliardi di joule, una quantità di energia equivalente all'intera produzione energetica dell'umanità di diversi mesi. Avvicinarsi ulteriormente ai 300 mila chilometri al secondo della luce diventa ancora più costoso».
Per i viaggi nel passato, però, il discorso cambia, si complica; lo stesso Hawking, ottimista per ciò che riguarda ipotetiche missioni nel futuro, nega la possibilità di poter visitare il passato. Il motivo va ricercato nel cosiddetto paradosso temporale (o di coerenza). Può essere spiegato raffrontandoci allo scrittore di fantascienza René Barjavel, che descrisse nel 1943 il “paradosso del nonno”. Concerne un nipote che viaggiando nel passato, incontra il nonno da giovane e lo uccide prima che possa dare luogo alla sua progenie. Il paradosso sta nel fatto che, morendo il nonno prima di generare il padre o la madre del nipote assassino, esclude anche la possibilità di vedere il discendente tornare indietro per ammazzarlo. In realtà, secondo i sostenitori del multiverso anche viaggiare “all'indietro”, sarebbe possibile, considerando che ogni “interferenza” col passato, produrrebbe le sue conseguenze solo in un universo parallelo, dove gli eventi seguono un destino differente. L'argomento è stato affrontato per la prima volta da Hugh Everett III, brillante teorico allievo di Wheeler, alludendo alla “teoria a molti mondi”, secondo la quale ci sono tante copie del nostro universo quante sono le possibili variazioni quantistiche delle particelle che lo compongono. Spiega Licata: «Si pone in questo caso il cosiddetto problema del “collasso della funzione d’onda”: noi osserviamo particelle localizzate, non infinite traiettorie. Bisogna allora introdurre il postulato che le infinite possibilità della funzione d’onda collassino dopo un’osservazione. Hugh Everett III, riteneva che questa fosse una forzatura della matematica quantistica, e risolse il problema ipotizzando che ogni traiettoria è associata a uno spazio-tempo diverso. In questo modo l’universo classico di moltiplica nel multiverso quantistico. Questo concetto fu utilizzato per risolvere il paradosso del nonno negli anni ’80. In pratica il paradosso viene aggirato perché invece di avere un unico “foglio spazio-temporale” come nella Relatività generale, bisogna tenere in conto anche le sue infinite variazioni quantistiche. Dunque l’evento “uccisione del nonno” e “futuro del nipote” avvengono su due “fogli” diversi. Il fenomeno è in qualche modo legato alle caratteristiche ondulatorie della meccanica quantistica, ed è simile ad un’onda che si divide e viene per metà trasmessa e per metà riflessa». Ai multiversi si riferisce anche Sean M. Carroll, senior research associate presso il California Institute of Technology, ammettendo che in altri universi potrebbe addirittura esistere il problema contrario; ossia si potrebbe viaggiare nel passato ma non nel futuro. In queste dimensioni cosmiche, il tempo scorrerebbe al contrario, per cui un'ipotetica forma di vita intelligente ricorderebbe il futuro ma non il passato; in modo analogo a quel che accade nel nostro universo, come si diceva prima, supponendo la capacità di un oggetto di superare la velocità della luce. Per spiegare questo fenomeno Carroll avanza il presupposto che il passato più remoto e il futuro siano due stati ad alta entropia. Se così fosse, l'universo delle origini, uno stato caldo e denso del cosmo, non sarebbe il vero inizio del “tutto”, ma solo una fase di transizione, all'interno di un sistema cosmologico molto più complesso, dove tempo e spazio sarebbero solo due fra le tante prerogative esistenti, peraltro perfettamente interscambiabili. Parere accarezzato anche dal cosmologo Georges Lemaitre: «L'evoluzione dell'universo è come uno spettacolo di fuochi d'artificio giunto alla fine: ultime scintille, fumo e cenere. Noi che viviamo nelle sue braci ormai spente, assistiamo allo scolorirsi dei soli e possiamo solo evocare lo splendore scomparso dell'origine dei mondi». Sulle difficoltà di viaggiare nel passato, il fisico Roger Penrose avanza, invece, l'ipotesi relativa a una sorta di “censura cosmica”, che si verrebbe a creare quando si verifica un paradosso. In pratica, rapportandosi all'esempio precedente del nipote che torna indietro nel tempo per uccidere il nonno, immagina una qualche misteriosa forza che agisca sul visitatore del futuro, impedendogli di sconvolgere i piani prestabiliti da un disegno imperscrutabile. La gran parte degli scienziati, però, non appoggia questa tesi, affermando che così decadrebbe il concetto di libero arbitrio, annullando le volontà umane, circostanza non accettabile dalla scienza. Ma c'è anche chi è convinto che i viaggi nel tempo non si effettueranno mai per il semplice fatto che il tempo, in realtà, non esiste, essendo solo un inganno dei sensi. Di ciò potrebbe essere stato convinto anche Albert Einstein. Così rispondeva ai familiari dell'amico Besso, da poco scomparso: «Michele mi ha preceduto anche nel concedersi da questo strano mondo. Questo però non significa nulla. Per noi che crediamo nella fisica, la distinzione fra passato, presente e futuro ha solo il significato di un'illusione, per quanto ostinata».