Iniziamo col dire che non è un’altra storia lussuriosa.
E’ da lassù che son sicuro a trovare l’ispirazione. E’ da tanto che la osservavo da quel tetto. E’ da tanto che trascorrevo interi pomeriggi in questo modo.
La mia chitarra ha accompagnato il suo lavoro ed il suo profumo ha ispirato la mia mente incantandola. Ogni pomeriggio alle quattro in punto ero li, in pieno stile stalker. Mi appoggiavo al parapetto, liberavo la mente concentrandomi soltanto su di lei e suonavo.
Impaziente, aspettavo che uscisse di casa. Un giorno come tanti, trench color panna, gonna a tubicino, parigine a righe colorate e decoltè intonate alla borsa. Non poteva esser più sexy di così. Capelli ricci, sciolti al vento e due occhi castani immensi quanto Central Park dinanzi al palazzo. Vicini di casa eppure lontani anni luce in questa vita, in questa dimensione. Le nostre strade spesso facevano capolinea nei nostri sguardi ma la mia voglia di parlarle e le mie parole si smorzavano in gola come in una stretta. I pensieri, sempre più confusi, lasciavano spazio all’immaginazione surreale del momento. Abitavo da tre anni in quel palazzo e lei entrò nei miei pensieri fin dal primo istante.
Cecilia è il suo nome. Uno spettacolo di bellezza, solarità e magnificenza. Nel momento in cui la vidi la prima volta il mio baricentro si spostò. La gravità non era data più dalla terra, ma da lei. Qualsiasi cosa mi attirava verso di lei. E non c’era modo di evitarlo. Era in ogni cosa. Nel volto di ogni persona, nella vetrina di tutti i negozi. In tre anni ci siamo salutati qualche volta, le presentazioni del primo giorno e poi niente più come se ci fosse stato un muro di plexiglas a dividerci.
Una sera tornando dalle prove con il gruppo mi servii dell’ascensore per arrivare all’appartamento. Era più tardi del solito, intorno alle undici e mezza. Ero di cattivo umore per colpa di un idiota che mi aveva tamponato al semaforo. Era un ragazzo che tornava da una cena e qualche bicchiere di troppo probabilmente gli aveva annebbiato la vista. Abbiamo perso più di un’ora per mettere tutto a posto.
Quella sera entrai con un’altra persona a seguito. Ancor prima di voltarmi capii che era lei. Il profumo targato Dior erano un timbro. Mi girai, la vidi e la scrutai interamente per un istante. La consuetudine di indossare le parigine faceva parte del suo essere. Abitavamo entrambi all’ottavo piano.
Si chiusero le porte. << Ottavo giusto? >> Le dissi. << Si, giusto… >>, con il sorriso mozzato. Avrà avuto una pessima giornata anche lei.
L’ascensore inziò a salire. Primo priano, secondo, terzo, quarto, quinto… Tra il quinto ed il sesto si sentii una specie di tonfo e un rumore cupo. l’ascensore si bloccò e le luci si spensero…
<< Nuovamente >> disse Cecilia. Lo disse come se non fosse stata la prima volta. Lassù qualcuno ha letto i miei pensieri ed ha ritenuto importante darmi una mano.
<< A volte capita. Spero non sia andata via la corrente in tutto il palazzo >> le risposi.
Prendemmo i cellulari, nessuno di entrambi aveva copertura.
Quasi infastidita << Questi ascensori! Non riescono a risolvere nemmeno il problema della rete >>.
<< Noto che non è la prima volta >>
<< No, anche la settimana scorsa. Ma i soccorsi vennero subito >>
<< Potremmo aver fortuna anche stasera >>
<< Non credo, è tardi e a quest’ora solitamente non passa nessuno >>
Pigiammo il campanello di soccorso aspettando che qualcuno si accorga della luce esterna e lo chiami.
Ci accasciammo nella piccola cabina. Seduti.
Nel buio dell’ascensore accendemmo i cellulari per portar un po’ di luce.
Rimasi sbigottito quando mi rivolse la parola dicendo << Tu sei Giò, il mio vicino – Sai, ho sentito qualche vostro brano on-line. Mi piace la vostra musica >>.
<< Benedetto l’inventore di Myspace >> pensai. Stupito dal fatto che ci conoscesse la ringraziai ed inizia a farle una serie di domande su quali fossero le sue preferenze in ambito musicale.
Mi disse sorridendo che ogni tanto mentre lavorava nella sua cameretta apriva la finestra per sentir un chitarrista che suonava sul tetto. Sapeva che ero io e mi chiese come mai andavo a suonar la sopra. La risposi dicendo che quel posto era l’unico dove mi sentivo libero di esprimermi. E poi imbarazzato le dissi che speravo che lei ascoltasse. Le piaceva la canzone “We all go back to where we belong“.
Mi chiese il motivo per il quale volevo che lei ascoltasse. Le dissi che era una vita che cercavo di parlarle e l’unico modo che conoscevo per avvicinarmi era la musica.
<< E ci sei riuscito! >> disse lei.
Ed io meravigliato << In che senso ci son riuscito? >>
<< Sei riuscito a farti notare ma non ti sei mai fatto avanti >> e poi continuò << Hai la tua chitarra con te, perchè non mi fai sentir qualcosa? >>
<< Volentieri >> E così sfoderai la chitarra ed inizia ad intonare qualcosa…
…
Le piacque perdersi nelle note e in quelle parole.
<< Hai dato un tocco di gioia alla mia giornata Giò >> mi disse con un sorriso stupendo sul volto.
All’improvviso tornò la luce e l’ascensore riprese a salire. Ottavio piano…
Uscimmo. I nostri appartamenti erano uno frontistante l’altro. Stavamo andando nuovamente per le nostre strade e da lontano già sentivo quel muro di plexiglas rialzarsi quando successe una cosa strana. Lei si girò e mi disse << Perché la prossima volta invece di suonare sul tetto non suoni da me? >>
<< Certo, volentieri. A presto allora, grazie per la chiacchierata… Notte… >>
<< Notte allora… >> rispose.
Mi sorrise e rientrò nel suo appartamento.
Mi fermai con le spalle sul muro del corridoio e, guardando all’insù, restai a pensare a ciò che era accaduto quella sera in quell’ascensore nutrendo un’inaspettata piacevolezza. A cosa sarebbe, o meglio non sarebbe accaduto se quel ragazzo non mi avesse tamponato, se l’ascensore non si fosse fermato all’improvviso o se lei fosse arrivata solamente cinque secondi più tardi. A volte non tutti i mali vengono per nuocere.
Già non vedevo l’ora di star da lei domani.
Ma questa è un’altra storia…
RudiExperience