Inaugurata la mostra VÌOLA di Andi Kacziba

Creato il 10 dicembre 2015 da Manuelacaminada

Inaugurata la mostra VÌOLA di Andi Kacziba a cura di Sabino Maria Frassà allo Studio Museo Francesco Messina di Via San Sisto 4/A a Milano. E’ possibile prenotare una visita guidata gratuita con l’artista e/o il curatore mandando una mail a info@cramum.org  In mostra 41 opere degli ultimi due anni di produzione di Andi Kacziba. Il comune denominatore è la ricerca di emancipazione e rinascita della donna nella società contemporanea. Il curatore e l’artista accompagnano lo spettatore in un percorso di crescita personale, che va dall’accettazione di sé (talee), dei propri sbagli (gemme) e vissuto (altare della sterilità); alla ricerca di una soluzione negli altri o in un “principe azzurro” (opera “Santa Veronica); alla conclusione che ci si deve salvare da soli, trovando in sé la forza di reagire, interiorizzare – e non cancellare – il proprio passato per costruire qualcosa di nuovo. Forte il dialogo con il Maestro Messina, le cui opere arricchiscono di contenuto il percorso: dall’invidia femminile (tutte le sculture femminili di Messina non incrociano lo sguardo di Santa Veronica, che è una sorta di autoritratto dell’artista. Santa Veronica è solo fissata dalle sculture maschili, sistemate in atteggiamento giudicante. Al primo piano i noti cavalli di Messina, simboleggiano il machismo della società contemporanea, che si contrappone all’altare della sterilità e alla de-responsabilizzazione di molti uomini di fronte agli impegni coniugali e di relazione con l’altro sesso.

Commento critico di SABINO MARIA FRASSÀ, curatore della mostra

ANDREA S’E’ PERSA E NON SA PIU’ TORNARE?[i]

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”[ii] (Dante). Anche Andi Kacziba (vero nome Andrea) si è ritrovata qualche anno fa a dover riflettere ancora una volta su di sé, sul tempo che passa e sul contrasto con il mondo che la circondava. Nasce così il progetto Vìola: non si tratta di una semplice mostra, quanto di una tappa fondamentale all’interno del percorso di una donna-artista coraggiosa, che non ha chiuso gli occhi e ha voluto affrontare la crescente dualità e antinomia tra sé (il proprio modo di essere) e il Mondo. VÌOLA racchiude e cerca quindi di ricomporre la duplicità propria dell’esistenza umana: uomo-donna, violenza-resistenza, morte-vita, bello-brutto. La parola VÌOLA  del resto è sia un colore sia un verbo. Se ci riferiamo al colore (o alla pianta) l’etimologia si rifà al latino Viere, intrecciare, essere pieghevole, adattarsi. L’etimologia di vìola (inteso come 3° persona singolare del verbo violare) deriva invece direttamente dalla parola latina VIS, forza e violenza. Andi ricrea nel cuore di Milano, all’interno della cadente chiesa barocca di San Sisto (sede dello Studio Museo Francesco Messina) un giardino segreto in cui poter cogliere il passare del tempo e delle stagioni: dalla morte, alla rinascita, alla vita e poi ancora la morte. Ciò che è secco e senza più vita (ciclo ex-succus e Altare della sterilità), lascia spazio alla rinascita delle Gemme, alla vita delle Tale-e, alla  distruzione/costruzione dei Termitai. Il punto di partenza è la constatazione della violenza (non solo fisica) che ci circonda, che permea tutta la nostra società, quella violenza sempre più spettacolarizzata e sempre più rivolta contro le donne e contro tutti coloro i quali sono considerati “diversi”. Nasce così qualche anno fa il primo ciclo di opere di VÌOLA: ex-succus. Si tratta di coralli, organi senza più linfa secchi, incapaci non solo di vivere, ma anche di generare altra vita. Il richiamo al tempo che passa, alla difficoltà di essere donna oggi è ancora più chiaro nell’emblematica opera Altare della sterilità (composta da ex-succus): l’umanità si è evoluta, crede di poter esser giovane per sempre, ma il tempo biologico/riproduttivo non si è dilatato. Andi non si è però persa, sopraffatta dalla violenza, non si è aggrappata a nulla se non a se stessa. All’altare della sterilità ci si reca quindi non per avere un figlio, ma per pensare, per ritrovare il significato di cosa voglia dire essere donna oggi. Il “giardino” di Andi non è infatti un luogo in cui rifugiarsi e fuggire dal mondo. E’ piuttosto il luogo in cui avere il coraggio di vedere il Mondo per quello che è, così da riuscire poi a ricomporlo e a farlo funzionare meglio. Chi subisce una violenza, per non soccombere, spesso si piega, modifica il proprio essere, fino quasi ad annientarsi. Questo “quasi” è la chiave di lettura e di svolta di VÌOLA. Dall’inevitabile violenza, dall’inalienabile dolore ci si può risollevare e crescere. Andi non elogia la violenza o il dolore, ma ha il coraggio di riconoscerli e affrontarli: la violenza non è mai l’elemento generativo dell’esistenza umana, lo è invece la forza di non piegarsi, di reagire ed essere diversi.

Andi non è quindi tornata indietro, non lo fa mai. Il suo processo di reazione è evidente: da quegli organi senza vita ex-succus sono nate le Gemme e poi le tale-e. Andi sta rinascendo: come la natura sotto il peso della neve, si è dovuta piegare, adattare ed infine reinventare, ma non si è spezzata. La stessa tecnica artistica è termometro di tale processo di reazione. Andi ha rinunciato consapevolmente all’istantaneità della fotografia, per (ri)-abbracciare la materia, il tempo della creazione. E’ così passata dalla bidimensionalità della fotografia e dei fazzoletti ricamati, agli intrecci degli arazzi di ex-succus, per approdare infine ad una nuova tecnica, da lei inventata, quella del “filo ricurvo”. Tale tecnica (alla base degli ultimi cicli Gemme, Tale-e, Termitai) imita la natura che crea la vita in modo circolare: le opere nascono infatti da un’unica corda che si arrotola su se stessa, che si sorregge grazie ad infinite e quasi invisibili cuciture, che, come le nervature di una foglia, danno nutrimento e forma all’opera finale.

Andi sta sempre più ricomponendo l’antinomia iniziale, vìola con viòla. L’emblematico Altare della sterilità rimane l’inizio, il doloroso punto di partenza, ma ora c’è tanto altro: c’è ad esempio la storia di Santa Veronica (emorroissa), emarginata e poi riammessa nella comunità grazie ad un miracolo. (Santa) Veronica – copertina della mostra – è in fondo un auto-ritratto, una fotografia che documenta un momento di smarrimento, in cui l’artista cerca in un “miracolo”, in un deus ex machina, la forza di cambiare e andare avanti. Il miracolo Andi invece l’ha trovato in se stessa, nell’amore per l’arte e per lo studio (la conoscenza). Frutto di questo “auto-miracolo” sono i grandi Termitai, che meglio rappresentano Andi oggi. Come fanno le termiti per creare i loro grandi nidi, Andi ha imparato che a volte per creare nuova materia vivente, bisogna partire dalla demolizione, digestione e metabolizzazione di ciò che è stato.

[i] “Andrea s’è perso e non sa più tornare” da Andrea, Fabrizio de Andrè e Massimo Bubola, 1978

[ii] La divina commedia (Inferno), Dante Alighieri, 1472

COMUNICATO STAMPA

Il Comune di Milano, la Fondazione Giorgio Pardi e all’associazione cramum, patrocinati da dell’Istituto Balassi-Accademia d’Ungheria in Roma hanno presentano VÌOLA di Andi Kacziba, curata da Sabino Maria Frassà.  La mostra che ha luogo allo Studio Museo Francesco Messina di Via San Sisto 4/ a Milano (Via Torino)  dal 10 al 20 dicembre, parla della reazione e della sopravvivenza delle donne alla violenza psicofisica. Per Andi Kacziba – ex modella ed ex fotografa di origini ungheresi, da anni in Italia – la nostra società è violenta anche nell’immagine e nel modo in cui rappresenta sé e le donne: “l’ossessione per l’infinita giovinezza e bellezza si scontra con il tempo biologico. Sempre più donne sono così portate a vivere il dramma della mancata o negata maternità”. Chi subisce una violenza, per non soccombere, spesso si piega, modifica il proprio essere, fino quasi ad annientarsi. Questo “quasi“, come ricorda il curatore della mostra Sabino Maria Frassà – “è la chiave di lettura della mostra: dall’inevitabile violenza, dall’inalienabile dolore ci si può risollevare e crescere. Per Andi Kacziba la violenza non è mai l’elemento generativo dell’esistenza umana. Lo è invece la forza di non piegarsi, di reagire ed essere diversi.” Andi Kacziba accoglierà i visitatori in un giardino segreto fatto di corde e ceramiche e creato all’interno della  chiesa barocca di San Sisto, oggi sede dello Studio Museo Francesco Messina, nel cuore di Milano. Il “giardino” di Andi non è però un giardino dell’Eden, un luogo in cui rifugiarsi e fuggire dal mondo. E’ piuttosto il luogo in cui avere il coraggio di vedere sé e il Mondo per quello che sono, così da riuscire poi a ricomporli e a farli funzionare meglio. Centro di questo giardino “gotico” sono perciò Santa Veronica e i grandi Termitai. Se Santa Veronica rappresenta l’autoritratto della donna in attesa di un miracolo che la salvi, i Termitai rappresentano la rinascita che parte dalle proprie forze. “Come fanno le termiti per creare i loro grandi nidi” – ricorda il curatore della mostra – “Andi ha imparato che a volte per creare nuova materia vivente occorre partire dalla demolizione, digestione e metabolizzazione di ciò che è stato”.

ANDI KACZIBA

Nasce in Ungheria nel 1974 e dal 1997 vive e lavora a Milano. La sua avventura artistica, iniziata come modella e fotografa, l’ha portata a riflettere sulle problematiche legate alla donna e ai conflitti del corpo e della mente. La bellezza moderna spesso infatti porta le ragazze a distruggersi a causa di bulimia e anoressia per l’incapacità di accettarsi. Nel 2012 fonda con Sabino Maria Frassà il premio cramum. Dal 2009 ha esposto in mostre in Italia e all’estero. Nel 2015 le sue opere sono state esposte in Frangit Nucem (Palazzo Isimbardi di Milano), Mater (Palazzo del Governatore di Parma), Sale terarrum (Villa Litta) e Oltre (Istituto Italiano di Cultura a Budapest).

 associazione cramum

cramum è nato come work in progress culturale nel novembre del 2012 per promuovere l’arte contemporanea in tutte le sue forme. L’associazione promuove e supporta i migliori giovani artisti che operano in Italia a prescindere dalla loro origine. L’obiettivo ultimo è mettere nelle condizioni questi talenti di vivere della propria arte. www.cramum.it | www.facebook.com/cramum/

Fondazione Giorgio Pardi

La Fondazione Giorgio Pardi lavora dal 2008 per migliorare la qualità della vita delle nuove generazioni. La Fondazione è un ente non-profit che ricorda il Professor Giorgio Pardi, combattendo la fuga di cervelli e sostenendo i migliori giovani in Italia. “Sapere, Saper Fare, Saper Essere. Gli italiani devono imparare a superare le divergenze e fare squadra per affrontare con successo un mondo sempre più complesso.” www.amanutricresci.com

Per maggiori informazioni: info@cramum.org