Sospinti da un tempo che è un non-tempo, dentro un luogo che è un non-luogo, dove vivono dei personaggi che non sono dei non-personaggi, è difficile trovare appiglio partendo dalle nostre solide, macchinose certezze, quando ci si ritrova di fronte ad un libro come Incantatori di Serpenti.
Bisogna in un certo senso lasciarsi andare, farsi cullare dalla scrittura pulita ed elegante, leggera e impeccabile, mai superficiale, che guida questo incantevole romanzo breve verso una riflessione che come un faro lontano, ci regala una luce di forza e coraggio dentro un mare che sembra non finire mai.
Perché è il mare a circondare luoghi e personaggi di quest’opera. Un mare che a volte ci salva, a volte ci condanna. Dipende. Dipende da cosa stiamo cercando. Stiamo cercando una casa? Stiamo cercando un lavoro? Stiamo cercando una persona? O magari ciò di cui siamo alla ricerca è un viaggio. E forse, questo viaggio, vorremmo cominciarlo per il solo piacere di farlo, per la sola meraviglia di conoscere, senza troppi obiettivi, che quelli, a volte, è meglio lasciarseli alle spalle.
E dunque ecco che nel nostro non-luogo, la Città delle Rocce, sembra quasi esserci un capovolgimento di atteggiamenti e consuetudini, che appaiono a noi talmente certi e solidi, da non chiederci mai se sia effettivamente così. Eppure, accadono strane cose, alla Città delle Rocce. Capita che ad esempio ci si senta stranieri in casa propria, capita di comprendere come il mare, nostro infinito muoverci verso la vita, non sia un cammino dove cullarci, ma che ci spinga a chiederci: “Cosa siamo?” Domanda che appare talmente scontata (o forse fastidiosa) che di rado ce la poniamo.
Non è scontata sicuramente per i personaggi che Carmine Frau ci ha regalato, dentro la luce di una città di costa che ora ricorda ora una Gerusalemme medievale che si affaccia sul mare, con le sue voci, i suoi mercanti pronti a trattare le loro merci, i suoi profumi; ora un’antica Cagliari che pigra che attende navi mercantili provenienti da oltre le colonne d’Ercole. Leggendo tra le righe del romanzo, si capisce che niente qui, è dato per scontato. Ma attenzione, qua nessuno vuole insegnare nulla, perché non ci sono maestri, non ci sono risposte certe, non ci sono ancore di salvezza. È un continuo viaggiare, guardarsi intorno, esplorarsi ed esplorare, nell’incanto di scoprire se stessi attraverso lo sguardo e le parole degli altri.
Lo sa bene Pwim, uno dei protagonisti di questa storia, dodicenne che sa tutto, ma proprio tutto, compagno di viaggi di Edga, sua coetanea, alla ricerca del famigerato Incantatore di Serpenti. Personaggio, questo, che sembra non potersi trovare facilmente, quasi quanto non sia facile trovare risposta alla domanda di cui sopra. E dunque, forse è bene ripetercelo ancora: chi siamo? Sa bene la spinosità di questa domanda il Gringo, altro personaggio che, pur nascendo nella Città delle Rocce, non riesce più a trovare un suo posto, un suo ruolo, una sua identità e decide dunque di viaggiare, e cercare una risposta che, diciamocelo onestamente, non basterebbe una vita per scoprirla.
Eppure qua non si tratta solo di viaggi: la vita è una questione di navi giuste e navi sbagliate, sembrano volerci dire i personaggi di questa storia, che impareremo ad amare, riconoscendoci in loro. Protagonisti di una storia incantevole che, con le loro debolezze, le loro incomprensioni, i loro continui dubbi, ci costringeranno ad ammettere che nemmeno noi, abbiamo tutte le risposte, perché, che ci piaccia o no, siamo persone fragili, indecise, insicure. In altre parole, siamo esseri umani, ed è bene non dimenticarlo. Perché nascondere le nostre paure, sarebbe peggio che accettarle. Per questo, dubbi e incertezze che abitano questo romanzo, sembrano filtrare le parole e la filigrana per proiettarsi sul nostro mondo.
Questo è un romanzo che con pacatezza mette a nudo delle domande essenziali, per raggiungere la nostra umanità: chi siamo, quali limiti abbiamo, cosa si nasconde nel viaggio dentro noi stessi, alla ricerca di questo incantatore di serpenti, che tanto ci incanta con la sua magia, e tanto sembra irraggiungibile, a cui vorremmo chiedere di raccontarci una storia. La sua. La nostra. La storia del mondo. Quella stessa storia che, quotidianamente, noi facciamo ogni giorno, con i nostri limiti, le nostre paure, le nostre imperfezioni. Anche quando pensiamo di sapere tutto, o crediamo che quello che sappiamo ci possa bastare.
Senza forse renderci conto che noi stessi siamo la nostra storia, e in noi stessi troviamo il senso e le risposte di ciò che siamo e che facciamo. Perché le risposte che cerchiamo, non sono nel mondo esteriore a cui poniamo le domande, ma nel nostro oceano interiore, abisso infinito sul quale è bene esplorare le nostre profondità di esseri umani. Tutto ciò che c’è fuori, in fondo, è solo un ornamento della nostra vita.
Written by Stefano Aranginu