Magazine Cinema
La trama (con parole mie): Nawal Marwan, una donna dal passato misterioso, è appena deceduta, ed i suoi due figli gemelli, Jeanne e Simon, nati e cresciuti in Canada, scoprono di dover compiere un viaggio in Medio Oriente affinchè gli ultimi desideri della loro madre possano essere esauditi.Ognuno di loro avrà un compito: per la prima, determinata a fare luce sul passato della famiglia, ed il secondo, decisamente arrabbiato e refrattario all'idea, si apriranno le strade verso il loro perduto padre ed il fratello che non sapevano di avere.Un viaggio drammatico ed intenso alla scoperta delle proprie origini svelerà ben più di quanto i due si sarebbero aspettati, il passato di Nawal e la sua identità di "donna che canta" e quello che pare un monito affinchè il concetto di amore divenga più forte di quelli di odio, religione e territorialità.
Esistono pellicole in grado di toccare temi molto noti ed esaminati a fondo dalla settima arte riuscendo ugualmente a mostrarne aspetti unici ed irripetibili, a portare sullo schermo personaggi memorabili o scene di culto: Incendies - o La donna che canta - è senza dubbio parte del novero.Personalmente ho sempre seguito - per quanto possibile rispetto alla distribuzione italiana e occidentale in genere - con molto interesse il Cinema mediorientale, in grado di regalare al mondo Maestri come Kiarostami - se non avete mai visto nulla di suo, correte a recuperare quel Capolavoro che è Il sapore della ciliegia - o volti nuovi di una sensibilità potente e moderna come Jafar Panahi - Il cerchio ed Oro rosso cult imperdibili -, ma anche piccole perle di valore come La sposa siriana, o La banda.Spinto da una produzione tutta occidentale, il lavoro di Villeneuve riesce ad inserirsi alla perfezione nello stesso ambito narrando una storia in bilico tra passato e presente che è una scoperta dei martoriati territori dibattuti tra israeliani e palestinesi - ma non solo - ed un viaggio di intensità incredibile all'interno di una famiglia, dal suo passato, al presente fino al futuro, con l'eredità consegnata da Nawal ai suoi due figli gemelli, generati dall'odio eppure spinti come solo una madre può fare verso una nuova via, quella del perdono e dell'amore che abbraccia un concetto non tanto religioso quanto figlio delle posizioni di John Lennon o Fabrizio De Andrè, che scava a piene mani nella miseria ed affiora dal sangue e dal fango per costruire qualcosa di nuovo.In particolare, risultano strepitosi i passaggi ambientati nel passato della protagonista, dall'esecuzione del primo flashback all'agghiacciante incendio dell'autobus che da titolo all'intera vicenda, così come il faccia a faccia conclusivo tra Jeanne e Simon e le loro scoperte a proposito di padre e fratello, in grado di rievocare ai miei occhi il lirismo terrificante di opere indimenticabili quali Old Boy, sempre considerando quanto da queste parti scelte di regia e sceneggiatura così coraggiose sarebbero osteggiate ad ogni livello, dalla produzione all'opinione pubblica bigotta e limitata con la quale ci ritroviamo a confrontarci regolarmente.Il tutto portato sullo schermo con un'abilità impressionante dietro la macchina da presa, una fotografia ed un piglio che fanno delle opere del già citato Kiarostami una vera e propria lezione ed un crescendo di potenza impressionante, che intreccia la vita di un figlio cresciuto nell'odio e nella guerra e quelle di due preservati da un passato che rischiava di essere troppo fino a quando non fossero stati pronti unite dalla volontà ferrea di una madre che, di fatto, non ha mai abbandonato nessuno di loro, neppure nell'assenza, neppure rinchiusa tra le pareti di una prigione che non l'ha piegata neanche portandole via tutto quello che si potrebbe togliere ad un essere umano.E con le lettere che giungono ai loro destinatari a compimento del viaggio e della promessa fatta da e a Nawal assistiamo ad uno dei finali emotivamente più toccanti che il Cinema mi abbia riservato in tempi recenti, evocando i fantasmi emotivi di meraviglie come Departures.Anche in quel caso, la perdita diveniva uno strumento per una nuova consapevolezza, ed una scoperta di se stessi che pare un'eredità: ed è questo, più di ogni altro bene materiale, che Nawal lascia a Jeanne e Simon.L'eredità di chi ha lottato, è stato oppresso ma non si è fatto schiacciare, ha vissuto la violenza per trasformarla in amore.L'eredità di ogni madre. L'eredità della donna che canta.
MrFord
"Per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre,
come nel grembo, e adesso in croce,
ti chiama amore questa mia voce."Fabrizio De Andrè - "Tre madri" -
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