di Mauro Baldrati
Appunto. Ma forse si riferiscono alle menti del regista e dello sceneggiatore? Perché sembra che la buonanima di William Burroughs sia tornata coi suoi cut-up, e la sceneggiatura di Inception sia stata sparsa sul pavimento e ricomposta con ordine casuale, per di più perdendo una quantità di fogli per strada. Tale è infatti la confusione, l’accavallarsi di scene, di dialoghi che sembrano appartenere ad altri film, o a opere teatrali, o a spot televisivi, che il senso di smarrimento dello spettatore assume intensità inquietanti.
Ma probabilmente bisogna dire che ci sono piani diversi e stratificati di realtà inconscia. E va bene, diciamolo pure. Certamente la parola “inconscio” o “subconscio” viene ripetuta una quantità incalcolabile di volte, mentre i personaggi, che si affannano sul set parlando come macchinette di argomenti scollegati (perché sono stratificati, inconsci), passano da un sogno a un altro, si addormentano nel sogno e sognano di nuovo, con altri personaggi che sbucano fuori e si mettono a sparare loro addosso, e uno si chiede: “ma chi diavolo sono quelli? E cosa vogliono?”
Facendo del nostro meglio apprendiamo che il protagonista – interpretato dal sempre bravo Leonardo Di Caprio – è un “ladro di idee” che riceve l’incarico non di rubarne un’altra, ma di impiantarne una nuova nella mente di un tale, il figlio di un supercapitalista che sta morendo. L’idea deve convincerlo a dividere l’impero del padre morto, così da favorire il committente di Di Caprio. Ma per fare questo bisogna affrontare tre pericolosissimi stadi di sogno, cioè il sogno dentro il sogno dentro il sogno. Non l’avessero mai detto. Parte una prolusione ultra schizo di addormentamenti e risvegli che non sono risvegli perché sognano di svegliarsi, e sbucano killer che sparano, inseguono con un trionfo di effetti speciali, mentre i protagonisti ripetono di continuo che sono le produzioni dell’inconscio di uno, poi di un altro, ma del primo o del secondo strato e che la tal faccenda è rischiosa perché si entra nel tremendo terzo strato e così via senza fine. Ci sono anche riminiscemze biografiche di Di Caprio, che vede spesso la moglie morta suicida, ma non sappiamo se in un sogno non sognato o che; e i due figlioletti che giocano, ma non appena li vede Di Caprio va in stato confusionale perché se li guarda, se si concentra su di loro potrebbe accadere una tragedia per via dei livelli pericolosi di sogni dentro il sogno con risvegli anomali che potrebbero farlo cadere “nel limbo”; allora interviene una ragazzina che è stata qualificata come “l’architetto” che non fa che ripetergli che non sono reali, che sono solo dei sogni (una novità insomma); oppure che sono “proiezioni del tuo subconscio” (altra clamorosa novità, aspettavamo solo questa svolta).
Alla fine si esce col pensiero che un tale delirio di frasi scombinate, di immagini esplose e dialoghi folli uno non lo dimenticherà mai. E sorge anche una domanda: ma l’epoca degli acidi non si era conclusa con l’estinzione degli anni Sessanta e il funerale degli hippies?