Quell’uomo di solfato
che – fucile spianato – tra le siepi di more
incattiviva a un fruscio che non fosse di biscie
o di vento
il tempo e le molte mani via via
in tanti anni.
Di lui ricordo
le sere in cui parlava
– comandando a bastone a glaciali silenzi –
Pensa se mi vedesse ora la carogna che sono
e come parlo e come mi vesto o faccio l’amore
col mitra pronto ben oliato
contro di lui se tornasse.