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INCHIESTA – I banchieri dello Zar: chi sono i custodi dell’oro di Mosca

Creato il 16 maggio 2013 da Alessandroronga @alexronga

sberbankAria seria e compita, pettinatura sobria, occhiali un po’da prima della classe: il nuovo volto del sistema bancario russo è quello di Elvira Nabiullina, consigliere economico del Cremlino, che, dopo l’endorsement di Putin dello scorso 12 marzo, ha ricevuto la scorsa settimana la nomina ufficiale del Parlamento russo alla carica di governatore della Banca Centrale della Federazione Russa. Una scelta, quella caduta sulla 49enne brillante economista originaria del Tatarstan, che ha generato apprezzamento e contemporaneamente perplessità: se unanime è stato il plauso per l’ascesa di una donna al vertice della Banca di Russia, numerosi sono stati i dubbi di chi ritiene che una figura così vicina a Putin sia la persona meno adatta a garantire l’indipendenza della Banca Centrale dal governo. Considerata la battaglia senza esclusione di colpi che in questi mesi ha visto contrapposti, da un lato, il governo russo con le sue politiche di sviluppo economico fondate su di una minore rigidità monetaria, e dall’altro la Banca di Russia, paladina della lotta all’inflazione, è fin troppo evidente come Elvira Nabiullina rappresenti una figura di compromesso, che proprio per questo difficilmente riuscirà ad attuare quelle riforme strategiche di cui il settore bancario russo necessiterebbe. La domanda che si pongono gli addetti ai lavori, in Russia e all’estero, è se il Cremlino sarà davvero disposto ad allentare la presa sulle banche: il fatto che dal 24 giugno la Banca Centrale sarà guidata una fedelissima di Putin, potrebbe essere di per sé già una risposta, in senso negativo ovviamente.
Tutto questo confermerebbe già da solo come il settore bancario russo sta assumendo quel ruolo geopolitico che dall’inizio degli anni Duemila appartiene al comparto energetico. È innegabile che la riacquisita influenza internazionale russa passi attraverso i suoi colossi energetici statali, come Rosneft e soprattutto Gazprom, creature predilette di Igor Sechin, influente consigliere di Putin sui temi energetici e ribattezzato “lo zar dell’energia”, per la sua longa manus sulle policies delle due compagnie nel contesto internazionale.

Sulejman il Magnifico
Con le banche statali sta accadendo lo stesso: il ruolo che stanno svolgendo è un ruolo politico, le iniziative industriali hanno fini politici, i vertici sono di nomina politica. Ed è tutto fin troppo logico, vista la presenza della Stato nelle quote azionarie delle principali banche del paese, la Sberbank e la VTB. Una presenza ingombrante, perchè non solo suggellata dal possesso delle quote di maggioranza, ma anche della presenza delle quote di minoranza nelle mani dei nuovi oligarchi che ruotano intorno al Cremlino. Sberbank, prima banca del paese e a maggioranza pubblica, si trova ad avere quale principale azionista di minoranza quel Sulejman Kerimov noto da noi solo per la sua passione per il calcio (è proprietario oggi del club daghestano dell’Anzhi Makachkala, in passato fu interessato alla Roma), ma in patria uno degli uomini più ricchi e potenti di Russia. Quarantasettenne, è a capo di un impero che opera in diversi settori, dall’energia al settore minerario: la sua fortuna ha origini misteriose come la sua vita, che ha rischiato di spezzarsi precocemente nel 2006 quando distrusse la sua Ferrari in un terribile incidente in Costa Azzurra, sulle cui cause non è mai stata fatta piena luce. Kerimov è l’emblema di quanto forte sia il conflitto d’interessi tra politica, banche e imprenditoria in Russia. La sua carriera sarebbe iniziata grazie agli ottimi agganci politici che aveva tra i nuovi poteri forti che si stavano cristallizzando attorno a Vladimir Putin: nel 2003 attraverso la VTB, seconda banca di Russia, lo Stato gli concesse un prestito da 43 milioni di dollari, investiti in azioni Gazprom che, raddoppiate di valore nel giro di un anno, gli consentirono di restituire il credito ricevuto in soli quattro mesi. Poco dopo, anche la Sberbank, sempre su suggerimento del governo, aprì una linea di credito da quattro miliardi di dollari in suo favore, così da permettergli nel corso degli anni di accumulare un cospicuo pacchetto di azioni della Gazprom e della stessa Sberbank. La sua ultima acquisizione, il colosso chimico Uralkali, è stata anche essa ottenuta da un prestito personalizzato della VTB, e della quale Kerimov detiene un piccolo pacchetto azionario.
Ma più che un petroliere o un boss della mineralurgia, Sulejman Kerimov è soprattutto un finanziere internazionale, con interessi – scrive il Financial Times, – perfino nel gotha bancario americano: all’interno di Goldman Sachs e Morgan Stanley esisterebbero quote a lui riconducibili, anche se le due banche d’affari non hanno mai confermato la notizia. Ma tanto basta perché la sua vicinanza con il Cremlino ne abbia fatto, presso alcuni ambienti finanziari americani, un’estensione del governo russo all’interno della grande finanza mondiale. A torto o a ragione, egli è considerato un broker per conto di Mosca, una sorta di Gordon Gekko del Caucaso capace di investire e far fruttare enormi somme di denaro non suo, e con le stesse di mettere in atto manovre speculative a finalità politiche.

Rublo pesante
Se le speculazioni finanziarie per ordine del Cremlino per ora non trovano conferme ufficiali, è invece un dato di fatto l’esistenza di una “clava” creditizia che Mosca ha utilizzato in politica estera negli ultimi anni, quando di fatto le due principali banche statali hanno lavorato a servizio del ministero degli Esteri: le politiche messe in atto da Sberbank e VTB hanno infatti avuto carattere prettamente geopolitico piuttosto che commerciale.
È questa l’unica spiegazione plausibile del perseguire obiettivi aziendali incomprensibili, se valutati secondo logica imprenditoriale, ma perfettamente coerenti, se interpretati nell’ottica della politica d’ingerenza del Cremlino nelle repubbliche ex sovietiche. Solo così si può comprendere la concessione di prestiti estremamente vantaggiosi all’Ucraina, agli imponenti progetti industriali finanziati in Kazakhstan, e alle recenti acquisizioni di Sberbank in Europa centrorientale e in Turchia, a conferma di un tentativo di Mosca di ricostruire, a medio-lungo termine, una zona d’influenza nei Balcani e di erigersi a partner economico privilegiato del governo di Ankara, il cui ruolo chiave nel Medioriente e nel Nordafrica del dopo-Primavera araba sta crescendo in maniera notevole.
E ovviamente, non si può certo dimenticare il ruolo primario svolto dalla finanza russa nel piano di salvataggio della Bielorussia, dopo che nel maggio di due anni fa Minsk era ad un passo dal default.
Dopo aver svalutato il rublo bielorusso al fine di rilanciare almeno le esportazioni, il governo del premier Myasnikovich (il presidente Lukashenko, come presumibile, è sempre rimasto molto defilato nella vicenda) aveva chiesto l’aiuto delle istituzioni finanziarie internazionali per scongiurare la bancarotta. Alla Bielorussia serviva urgentemente liquidità, e come accade sempre in questi casi, ad intervenire in soccorso fu il Fondo Monetario Internazionale. Al quale però si andò subito ad affiancare un altro soggetto, l’EurAsEC, istituzione economica euroasiatica composta da Russia, Kazakhstan, Tagikistan, Kirghizistan e Bielorussia. Simile alla Cee dei primordi, l’EurAsEC dispone anch’essa di una sorta di Fondo anticrisi, a cui Minsk chiese di accedere per evitare la bancarotta. Ma il chiaro squilibrio di forze tra le economie componenti l’EurAsEC a favore di Mosca (il 40% del budget è di matrice russa) ha fatto sì che fosse il Cremlino a fare il bello e il cattivo tempo sulle sorti di Minsk. E’accaduto dunque che se il Fmi vincolò i suoi aiuti a all’implementazione da parte bielorussa di riforme economiche strutturali, l’EurAsEc in pratica li legò alla cessione dei “gioielli di famiglia” bielorussi ai russi. In cambio di un maxiprestito da 3 miliardi di dollari la Bielorussia ha dovuto vendere la compagnia energetica Beltransgaz alla Gazprom, mentre la Sberbank ha acquisito il 35% della Belaruskali, azienda di Stato per la produzione di carbonato di potassio, in cambio di un prestito da 2 miliardi di dollari. Scelta non casuale: vale la pena di ricordare che Sulejman Kerimov, principale azionista di minoranza di Sberbank, è il proprietario anche della Uralkali, azienda russa leader nella lavorazione e produzione del potassio, che l’acquisizione di un terzo della compagnia bielorussa ha trasformato in uno dei principali colossi mondiali del settore.
L’EurAsEc e il suo braccio finanziario, la Banca di Sviluppo Euroasiatica, dal canto loro rappresentano in certi versi un nuovo aspetto della politica estera russa, ovvero quello di guadagnare influenza mondiale non più e non solo attraverso gas e petrolio, bensì creando un contropotere al dominio delle istituzioni finanziarie occidentali. Complice la crisi globale, è ormai evidente il senso di sfida verso di esse, solitamente a guida occidentale, come anche la volontà di svincolarsi dalle vecchie alleanze strategiche. E in questo contesto si colloca la Banca dei Brics, o almeno il suo progetto, del quale si è dibattuto al recente vertice sudafricano di Durban: una mossa economica, ma soprattutto politica, con la quale le nazioni Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) puntano evidentemente a guadagnare un peso maggiore nella World Bank e nel Fmi.

Il privato può attendere
Alla luce di quanto visto finora, fa sinceramente sorridere l’idea che lo Stato russo possa in futuro uscire dai pacchetti azionari delle banche controllate. Nonostante si parli spesso di una  privatizzazione della VTB e della Sberbank, è alquanto improbabile che ciò si verificherà a breve scadenza, di certo non sarà durante il mandato di Elvira Nabiullina alla Banca Centrale russa: Mosca, direttamente o attraverso delle holding, controlla oggi quasi il 59 per cento degli asset bancari del paese, quando nel 2001 la percentuale era del 36 per cento: un dato che in parte si giustifica con le acquisizioni statali di banche in crisi, come la Banca di Mosca, sottoposta ad un piano di salvataggio da 14 miliardi nel 2011. Il nuovo governatore sarà chiamato, se non a spezzare, quantomeno a ridimensionare un rapporto eccessivamente stretto con la politica, che ha finito per generare effetti distorti per un’economia di mercato, che orientano spesso le banche, si è visto, a comportamenti fuori dalla logica del mercato. Il programma di privatizzazione russo prevede teoricamente che lo Stato ceda i suoi asset principali in Sberbank e VTB: in pratica, però, la dipendenza di Mosca su queste due strutture finanziarie è diventata troppo strategica per potervi rinunziare.
Nell’attesa di iniziare a lavorare con la sua nuova governatrice, gli analisti della Banca Centrale russa hanno intanto fatto la radiografia al mondo bancario russo: i risultati non sono stati particolarmente entusiasmanti. Il settore, forse proprio per l’approccio politico non propriamente imprenditoriale, si trova attualmente sottocapitalizzato: secondo la Banca di Russia, alle banche serve una ricapitalizzazione da100 miliardi di dollari in tre anni, per garantire maggiore stabilità al sistema bancario. A ciò si aggiunge anche l’eccessivo numero di crediti inesigibili in loro possesso, causati da un utilizzo troppo marcato del credito al consumo nelle transazioni commerciali.
In buona sostanza, dal 24 giugno prossimo la neo-governatrice Nabiullina dovrà rimboccarsi le maniche se vorrà attivarsi per migliorare seriamente, e rendere più competitivo e liberale il settore bancario. Ma considerando le pressioni in gioco e i conflitti d’interesse come li abbiamo visti, è invece molto probabile che la Nabiullina si limiterà, come si suol dire, a “trattenere il fiato e a sperare che tutto vada per il meglio”, visto che le riforme dovranno ancora attendere.

(Pubblicato su Il Punto n. 17 del 18 aprile 2013)


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